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Una delle caratteristiche fondamentali che una newsletter dovrebbe possedere per avere successo è la regolarità. Come potete notare, però, la costanza non è un mio talento e sembra che io stia facendo di tutto per perdere una community che mi ha riempito di soddisfazioni. Per questo, a chi si è fatto sentire e a chi continua a leggermi dico, dal cuore, un sincero grazie. Lentamente e con fatica, mi sento un pochino meglio, mentre sto finendo di raccattare i pezzi, e intanto Autarkeia è continuamente nei miei pensieri. Vorrei provare a ricominciare davvero a settembre, con un senso definito che sto configurando anche chiedendo consigli a persone più competenti di me. Siete 700 persone che ho convinto a leggermi con fatica e sudore, e perdere tutto questo sarebbe un enorme peccato. Farò del mio meglio.
Basta: non potevo non dire qualcosa, ve lo devo. Questo numero esce perché si è formato nella mia testa autonomamente, perché si è scritto, in un certo senso, da solo. E quindi eccolo qui. Cominciamo.
La settimana scorsa sono stato a Stromboli, una piccola isola vulcanica vicino alla Sicilia, per un corso di scrittura e giornalismo con Francesco Costa, organizzato da Otto, un locale di Milano che vi consiglio di seguire perché fa una marea di cose interessanti. Ero lì per seguire lezioni e scrivere, ma nel tempo libero esploravo l’isola con i miei compagni di ostello e di corso. Tra le varie gite che abbiamo fatto, una mi è rimasta particolarmente impressa. Un gommone ci ha portato all’ora del tramonto a Ginostra, un paese minuscolo dall’altra parte dell’isola incastonato in un anfiteatro naturale tra i fichi d’India e i limoni. Ginostra ha 40 abitanti che per muoversi utilizzano i muli, è un paese che ha l’energia elettrica da solo una dozzina di anni ed è piena di tantissimi gatti che girano per le case di stucco bianco.
Dal lato dell’isola in cui si trova Ginostra, il sole tramonta nel mare.
Dopo aver fatto aperitivo con questa vista, siamo risaliti in gommone per tornare in paese. Ma a metà del percorso, ci siamo fermati in mezzo all’acqua, ed era un quadro. Da un lato il sole tramontava nel mare, mentre dall’altro sorgeva la luna che, per una coincidenza fortuita, era una delle più luminose del’anno. Da quel gommone sembravano opporsi in una antica lotta primordiale. Era uno spettacolo potente, innegabile. In più, da quel punto del mare avevamo di fronte la cosiddetta sciara del vulcano, cioè la distesa di accumuli di scorie vulcaniche che si formano sulla superficie o ai lati delle colate laviche. Sul bordo del cratere si vedeva un piccolo fuoco. Tutto ciò avveniva poi nel mare, e il mare è, per definizione, il luogo dove terrore e fascino si incontrano. C’è un verso di Omero che mi è caro:
Non credo davvero che vi sia cosa peggiore del mare per distruggere un uomo.
Perché il mare è incontrollabile, schizofrenico, insensibile, immenso. Non è un caso che molti dei più grandi capolavori della storia dell’umanità abbiano come protagonista il mare, o siano ambientati in esso. E poi c’erano i colori: l’arancione del sole che tramonta, il bianco gelido della luna che sorge, il blu del mare, il rosso del fuoco sul cratere. Non sapevo dove guardare. Era troppo. Quando ammiriamo il bello naturale il piacere che sorge in noi è complesso e agrodolce. Sembriamo fare un inchino mentale davanti a quel che abbiamo di fronte, in una sorta di atto di rispetto interiore, ma allo stesso tempo si forma in noi una qualche forma di soddisfazione.
Non è facile comprendere perchè l’estetica della natura provochi in noi piacere. Da un punto di vista puramente razionale, il sole che tramonta e la luna che sorge non sono altro che agglomerati di materia trascinati da forze fisiche. In sé, essi non sono altro che movimenti cosmici privi di senso. Il mare, alla fine, non è altro che tantissima acqua su un minuscolo pianeta all’interno di uno tra miliardi di sistemi stellari. Ciononostante, all’interno di quell’esperienza visiva, ero stravolto. In qualche modo, la mia testa ha fatto crack. E allora, quando ho ripensato a quei momenti, ho fatto quello che faccio ogni volta che sono in difficoltà, ho chiesto aiuto alla filosofia.
Kant distingueva due tipi di grandezza: la quantitas e la magnitudo. La quantitas è la grandezza misurabile matematicamente, mentre la magnitudo è la grandezza propria delle cose “assolutamente grandi”. Percepiamo la quantitas in maniera comparativa: una cosa è più grande di un’altra. La magnitudo, invece, è la grandezza propria di qualcosa che non riusciamo a porre in un confronto col resto, essa ci appare semplicemente come troppo grande. É la grandezza, per esempio, del mare: per quanto l’orizzonte sembri delimitarlo, sappiamo che esso prosegue per kilometri e kilometri. Cogliamo queste grandezze con uno sguardo contemplativo, una “somma estetica”, che prescinde dalle conoscenze che abbiamo dell’oggetto in questione. Kant chiama il compiacimento che sorge in noi davanti a magnitudo di questo genere sublime matematico.
Vi è poi un altro tipo di sublime, che è quello che si prova di fronte alla potenza della natura. Il vulcano di Stromboli fa paura: alto mille metri, da esso costantemente si alzano nubi di fumo nero. In ogni spiaggia dell’isola sono stati montati dei cartelli: in caso di eruzione, si deve correre via dalla spiaggia per il rischio di maremoto. É come se l’isola volesse in ogni modo ricordarti una cosa: abbi paura della potenza della natura. E questo sembra fungere da costante memorandum, “la tua forza in quanto essere umano è insignificante”. In uno scontro con queste forze (come in un’eruzione vulcanica o durante uno tsunami) verremo annichiliti in pochi attimi.
Tuttavia, quando siamo al sicuro da queste forze e ci ritroviamo a pensarle e osservarle, la natura sembra prenderci e sollevarci con sé. Dice Kant: il poter assistere e pensare queste potenze incontrollabili e distruttive ci rende in un certo senso superiori ad esse. Il rispetto per le temibili forze della natura si trasforma in una sorta di autostima: la natura ci ricorda che cos’è che ci rende prettamente umani, l’origine della nostra grandezza, il pensiero. Kant chiama il compiacimento che sorge in noi in questi casi sublime dinamico (da dunamis, potenza in greco antico).
E allora, schiacciato su quel gommoncino nel mare delle isole Eolie, c’è forse un modo di rialzarmi dall’inchino mentale con cui la natura mi ha piegato. Scriveva Pascal che l’uomo non è altro che una canna pensante che può essere spezzata al primo soffio di vento. Teso tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, l’uomo è annichilito dalla complessità del mondo in cui è stato gettato. Le scoperte scientifiche distruggono le nostre concezioni ingenue del mondo, lasciandoci inermi di fronte a terrificanti potenze cieche. L’universo sembra così finire per schiacciarci. Ma l’universo non può pensare se stesso, come fa l’uomo. E in questo Pascal incontra Kant. La bellezza naturale sembra innalzare gli esseri umani, ricordando loro ciò che li rende davvero ciò che sono.
Nel pensiero l’uomo ritrova se stesso. Nella possibilità di pensare e ammirare le grandezze (magnitudo) e le potenze (dunamis) della natura, gli esseri umani sembrano scoprire il loro luogo, la loro essenza (cioè ciò che rende l’uomo specificatamente uomo). Il piccolo gommone di Stromboli diventa così in me simbolo di tutto questo. In quell’equilibrio instabile tra le onde, di fronte alla sciara del vulcano, sospeso tra il tramontare del sole e il sorgere della luna, da insignificante polvere pronta a essere spazzata via come una fragile canna in un campo, riesco a riassumere dignità, a ritrovarmi, a ritrovarci. E come al solito, non posso che ringraziare la filosofia per questo.
Riflessione conclusa. Se l’hai apprezzata, se ti ha lasciato qualcosa, consiglia Autarkeia a qualcuno! Puoi condividere questo numero cliccando il bottone qui sotto.
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Presto vi darò notizie sulla forma che Autarkeia assumerà. Nel frattempo vi auguro una buona estate e un buon riposo.
Abbraccio,
Daniele
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Daniele hai portato anche noi dentro a quei colori, a quell'acqua, a quello stordimento. "Non sapevo dove guardare. Era troppo". Emozione forte.
Uno dei tuoi pezzi più belli. La sua perfezione mi hai fatto pangere. Sono contenta, Daniele. Forza!