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Eccomi qui. Spero che abbiate passato una bella settimana. Prima di cominciare, vi voglio dire che ho chiuso la mia affiliazione con Amazon. Da oggi ogni libro che consiglierò avrà un link collegato a BookDealer, uno shop online che sostiene i librai indipendenti e che è frutto di uno stimabile tentativo di aiutarli nel sopravvivere alla pressante competizione delle grandi aziende. Tuttavia, questo significa che quella che era la mia unica fonte di ritorno economico dalle ore di lavoro dietro ad Autarkeia scompare. Per questo ho aperto la pagina su Ko-fi: da lì potrete offrire, in un modo super-sicuro, un caffè al progetto. Ogni volta che raggiungeremo un nuovo target, produrrò contenuti aggiuntivi (sto preparando il primo podcast): grazie di cuore a chi deciderà di valorizzare tutto questo.
E ora, iniziamo.
“Le persone cattive non credono mai di essere cattive, ma piuttosto che lo siano tutti gli altri.”
David Foster Wallace
Che cos’è la meritocrazia? Letteralmente: il potere del merito. Sebbene la parola possa far pensare a una remota e antica origine, in realtà meritocrazia è un neologismo molto recente. Nel 1958 nelle librerie britanniche uscì un romanzo distopico, scritto dal sociologo Michael Young, intitolato “Rise of the meritocracy” (tradotto in italiano con “L’avvento della meritocrazia”) che segna la nascita di un termine che avrà molta fortuna, ormai entrato nel linguaggio comune.
In questo romanzo, Young disegna una società estremamente diseguale in cui la posizione sociale di ogni individuo è determinata dal suo quoziente intellettivo e dalla sua attitudine al lavoro: una vera e propria dittatura del merito. Il libro, ambientato nel 2034, culmina in una rivoluzione che stravolge l’ordine precostituito. Ciò che fa più riflettere di questa genesi del termine è che esso è stato pensato da Young con un’accezione fortemente negativa. Il sistema sociale che il sociologo dispoticamente mette in piedi conduce a un incubo, fatto di disuguaglianze inaccettabili.
Tuttavia, l’accezione con cui oggi viene usato il termine è tendenzialmente positiva. Con meritocrazia intendiamo un sistema di valutazione e di valorizzazione degli individui, basato esclusivamente sul riconoscimento del loro merito. Parlandone, sogniamo una società in cui le responsabilità sono sulle spalle dei più meritevoli e in cui i metri di giudizio con cui si valuta il prossimo sono l’impegno e le doti personali; non la ricchezza, le proprie conoscenze o il provenire da classi sociali privilegiate. In questo senso, la meritocrazia è pensata come un antidoto alle discriminazioni di qualsiasi tipo, dal genere alla razza. Non conta chi sei, ma ciò che fai.
Penso sia indubbio che la nostra sia la società più meritocratica della storia dell’umanità. Sebbene nel particolare questo possa sembrare falso (quante volte si è vittime di ingiustizie di questo tipo?), nel generale non penso sia una constatazione attaccabile. Basta tornare con gli occhi della mente a pochi secoli fa, e le scene che si presentano a noi sono animate da rigide classi sociali, da diritti di sangue, da terribili e ingiusti privilegi. Tutte cose incompatibili con il concetto di meritocrazia: la premessa necessaria affinché una società si diriga verso un potere del merito è l’uguaglianza delle possibilità, quell’uguaglianza formale espressa in maniera straordinaria nell’articolo 3 della nostra Costituzione. Uguaglianza di cui il mondo dei secoli passati si rivela totalmente privo.
Ed è partendo da qui che voglio spiegare il perchè non sono d’accordo con la visione di Young. La distopia meritocratica che lui disegna è qualcosa che non deve farci paura, perché non è realizzabile. Innanzitutto, definire che cosa il merito sia, è qualcosa di davvero difficile. Young propone una formula
m = IQ + E
cioè il merito (m) è determinato dall’IQ (il quoziente intellettivo) e dall’effort (l’impegno, lo sforzo e l’attitudine al lavoro). Questa formula è inadeguata e non esaustiva. La definizione rigorosa e matematica del merito, tema che è stato ampiamente trattato in letteratura, è qualcosa di necessariamente arbitrario perché riguarda aspetti difficilmente riducibili a misure quantitative. Limitandoci alla tesi di Young, ciò che possiamo constatare è che, per prima cosa, l’IQ non sia sufficiente a definire concretamente le capacità intellettuali di qualcuno. Inoltre, il concetto di effort esclude tantissime variabili concrete che concorrono nel determinare il merito di una persona (le sue capacità relazionali, la leadership, la resilienza, le condizioni di partenza).
Infine, anche se trovassimo il modo di definire esattamente che cosa il merito sia, esso non riuscirà mai a imporsi in maniera dittatoriale. Gli esseri umani non sono fatti così, e le nostre sono società di uomini: chi instaurerebbe questa dittatura del merito? Chi dividerebbe le classi sociali? Cosa garantisce che chi comanda rimanga nei suoi limiti di potere? La storia ci insegna che sistemi politici di questo tipo non possono che sfociare nel sangue e in regimi autoritari. Il principio del merito verrebbe strumentalizzato e utilizzato in maniera arbitraria da chi esercita il potere.
Per tutti questi motivi, penso che la meritocrazia non sia da concepire come qualcosa di realmente conseguibile, né nel bene, né nel male. La meritocrazia va pensata come un orizzonte, come qualcosa a cui tendere, come un paradigma in cielo, direbbe Platone. E in realtà mi sembra che sia proprio questo che, seppure con lentezza, stiamo facendo: le democrazie contemporanee con le loro opinioni pubbliche sembrano volere e tendere sempre di più a una società il più possibile meritocratica, in cui tutti hanno la possibilità di raggiungere i propri obiettivi con i propri sforzi e talenti, a prescindere dai loro punti di partenza. Tutte le grandi battaglie sociali che stiamo combattendo (contro l’omofobia, la discriminazione di genere, il razzismo) vanno proprio in questa direzione. E sinceramente penso che sia la direzione giusta.
Ma (c’è sempre un ma) mi piace l’idea di provare a riflettere su quale potrebbe essere l’altra faccia della medaglia del sistema che tutti insieme stiamo cercando di costruire. Non per terrorizzare le masse con una fantasiosa e improbabile dittatura del merito, ma per andare a vedere quali potrebbero essere i risvolti negativi di ciò che vogliamo erigere. Ciò su cui ci concentreremo ora quindi, non sarà una (passatemi la locuzione) meritocrazia assoluta, ma un ideale di meritocrazia che stiamo perseguendo e a cui, con ogni probabilità, ci avvicineremo asintoticamente, cioè approssimandoci sempre di più ad esso ma senza mai arrivare a coinciderci. Vediamo.
Come abbiamo detto, la società che stiamo costruendo è una società che sarà sempre più meritocratica, e questo permetterà ai meritevoli di raggiungere i propri obiettivi senza essere surclassati da persone meno dotate, ma privilegiate. E fin qui ci siamo. Ma gli uomini non sono tutti dotati di grandi talenti. Sarà per la mia storia personale, ma ciò che noto di più quando leggo e ascolto discorsi su questi temi è la bassissima attenzione verso chi non ce la fa. L’ideale meritocratico permette a chi è dotato di talento, qualità e forza di volontà di raggiungere i propri obiettivi. Tuttavia, anche se ognuno si pone obiettivi spesso ambiziosi rispetto a ciò che vorrebbe raggiungere, non è scontato che riesca a perseguirli. Ogni individuo ha determinate doti naturali che, come abbiamo visto, sono quasi impossibili da definire quantitativamente. E questo perché il talento, l’intelligenza e la forza di volontà non hanno un’unità di misura oggettiva. La conseguenza inevitabile di ciò è che non sia facile autovalutarsi. Siamo costantemente vittime di una dispercezione di noi stessi, e questo perché non abbiamo alcun criterio oggettivo e interno a noi con cui valutare il nostro valore. E proprio per questo penso che solo gli stupidi non abbiano mai messo se stessi in dubbio nemmeno una volta. Se non ce la faccio? E se non sono abbastanza? E se mi sono illuso sulle mie capacità? Domande come queste sono squisitamente umane. Nel momento in cui il futuro diviene presente non tutti si rivelano all’altezza di ciò che credevano di essere, degli obiettivi che si erano preposti. E sapete cosa si diranno quelle persone, nel silenzio della propria stanza, guardandosi allo specchio?
È tutta colpa tua
Non vi sono nemici, discriminazioni, privilegi, ingiustizie da incolpare. Non può essere colpa del sistema: perché il sistema favorisce i più meritevoli. Se hai fallito, hai fallito perché non sei stato all’altezza: non ci sono scuse.
Ed è questo il lato oscuro della meritocrazia che vogliamo costruire. La meritocrazia è una promessa di successo non garantita che, per statistica, nella maggior parte dei casi verrà infranta. E questo ha conseguenze psicologiche pesanti: è un incubo in cui nessuno vuole trovarsi. E allora, per non ritrovarcisi, si farà qualsiasi cosa per riuscire a realizzare ciò che si vuole: e se questo da un lato è positivo ed efficiente, dall’altro porta a un’esponenziale e selvaggia competizione tra pari che logora la solidarietà sociale.
Nel futuro sistema meritocratico, se fallisci, cosa ti resta? L’inadeguatezza e il rancore, l’invidia e la non accettazione del sé: una distopia psicologica, un deserto di promesse infrante e di persone che avevano sbagliato nell’autovalutarsi, che hanno fallito nel raggiungere ciò che volevano, il loro ideale di successo. E che senza poter incolpare niente e nessuno al di fuori di se stessi, finiscono per odiarsi e vivere infelicemente.
Come fare in modo che ciò non accada? Beh, non ne ho idea. A voi la parola.
Riflessione terminata. Come spesso mi piace fare, più che dare delle risposte preconfezionate ho provato a sollevare una domanda. Fatemi sapere cosa ne pensate: potete commentare qui sotto, o scrivermi rispondendo direttamente a questa mail. Non vorrei che passasse il messaggio sbagliato: io credo con forza nell’ideale meritocratico, ma mi piace provare a ragionare per incrinare i miei stessi preconcetti. Sono molto curioso di conoscere la vostra opinione.
I consigli di oggi:
Se vi dicessi che nessuno di noi conosce uno dei più grandi geni della storia dell’umanità? William James Sidis fu un bambino prodigio con straordinarie doti matematiche e linguistiche. Fu ammesso ad Harvard a 11 anni e in età adulta parlava 25 lingue. E allora perché non è famoso quanto Einstein? Vi lascio due video a riguardo: il primo più narrativo di Roberto Mercadini, il secondo più incentrato sulle sue incredibili abilità intellettuali di Alessandro de Concini, esperto di apprendimento.
Byoblu è un famigerato canale YouTube di “contro-informazione” con più di mezzo milione di iscritti che è stato appena chiuso da Google. No, non è censura, e sì, è un po’ una sconfitta per tutti noi. Un bell’editoriale-podcast di Riccardo Dal Ferro. Vi lascio anche un secondo video di Matteo Flora, famoso esperto di cose digitali, che spiega più tecnicamente il motivo per cui l’azione di Google sia legittima.
Vi consiglio un paper di Science che parla del sogno nei polpi. Gli scienziati da anni si arrovellano nel tentativo di dimostrare che i polpi effettivamente sognino, e ormai la cosa è sempre più probabile ai nostri occhi. Ciò che vi è di più affascinante nei polpi è che la loro incredibile intelligenza si è evoluta separatamente rispetto a quella dei mammiferi: e per questo è paragonabile a qualcosa di alieno.
Ho anche un altro paper per voi: uno studio lungo 10 anni ha dimostrato la mancata correlazione tra l’uso precoce di videogiochi violenti e lo sviluppo di inclinazioni aggressive nella crescita.
In ultimo, completamente a caso, per alleggerire: la storia degli Oreo. Non l’avrei mai detto ma è molto interessante.
Come sempre, ora vi consiglio i libri. Prima però, una nota di trasparenza: nonostante le considerazioni che ho fatto all’inizio del numero di oggi, ho deciso che l’Autarkeia Wishlist rimarrà. Mi sono informato e non ci sono altre piattaforme oltre ad Amazon che offrono la possibilità di regalare libri a sconosciuti. So che la cosa può sembrare ipocrita, ma ogni volta che mi arriva un libro da qualcuno di voi sono troppo felice, e essere ripagato del mio lavoro in libri è qualcosa che mi scalda il cuore. Insomma, non ce l’ho fatta a eliminare anche quello.
Ti è piaciuto questo numero? Dietro ci sono io, Daniele. Studio filosofia a Bologna e gestisco interamente da solo il progetto. Vorresti supportare il progetto e valorizzare le decine di ore settimanali che stanno dietro a ogni numero? Ci sono due modi per farlo:
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Finzioni, di Jorge Luis Borges
“Ironicamente erudito”, Finzioni è il libro più famoso di Borges. In un labirinto di paradossi, la spiazzante originalità dei racconti che compongono questa raccolta trascina chi legge in un mondo di oniriche riflessioni, che incrinano ogni certezza. Penso sia il modo migliore per iniziare a leggere Borges.
Cristo con il fucile in spalla, di Ryszard Kapuscinski
Testimone di 27 colpi di stato e rivoluzioni, imprigionato 40 volte e scampato per 4 volte a condanne a morte, Kapuscinski è stato uno dei più importanti giornalisti del XX secolo. Cristo con il fucile in spalla è una raccolta di reportage dall’Africa, dall’Asia e dall’America Latina.
E anche oggi abbiamo finito. Se il numero di oggi ti è piaciuto, condividilo! Come vi dico sempre, basta una storia su Instagram o un post su Facebook per fare la differenza.
Noi ci sentiamo domenica prossima,
Daniele
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