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Eccoci qui. Spero stiate bene. La breve riflessione che vi propongo oggi partirà da una lettura spericolata dello Zarathustra di Nietzsche, opera che io trovo incredibilmente bella da un punto di vista letterario (mentre sotto quello filosofico ho sviluppato un’opinione un po’ impopolare sul pensiero di Nietzsche in generale che se volete possiamo discutere insieme).
Anche per rifarmi dal numero scorso, in questo numero ci saranno alcuni consigli che spero apprezzerete.
Cominciamo (le parti in corsivo sono citazioni dirette o indirette dal testo).
Giunto a trent’anni, Zarathustra lasciò il suo paese e il lago del suo paese e andò sui monti. Qui godette del suo spirito e della sua solitudine, né per dieci anni se ne stancò.
Lo Zarathustra (che talvolta abbrevierò in Z.) comincia da un prologo: prologo in cui Nietzsche ci mostra la ridiscesa di Z. tra gli uomini, dopo che egli era stato dieci anni solo tra i monti. Ma perché Z. decide di ridiscendere tra gli uomini? Leggiamo.
La mia saggezza mi ha saturato fino al disgusto; come l’ape che troppo miele ha raccolto, ho bisogno di mani che si potrendano. Vorrei spartire i miei doni, finché i saggi tra gli uomini tornassero a rallegrarsi della loro follia e i poveri della loro ricchezza. Perciò devo scendere giù in basso.
Zarathustra sente il bisogno di rivelare ciò che ha compreso nella sua solitudine. Isolato per un decennio dal resto dell’umanità ha bisogno di tornare verso coloro che dormono per provare a rivelargli la sua verità, anche se questi non sono pronti per essa. In qualche modo, lontano da tutte le altre istituzioni della conoscenza, nella sua solitudine, Z. ha capito qualcosa in più di tutti gli altri.
Z. è un simbolo: egli è la rappresentazione del profeta laico, del genio che scende dalla montagna per consegnare la verità agli uomini. Non gli è servito faticare decenni sui libri, non gli è servito ascoltare e contribuire a giorni di intensi dibattiti. Lui ha ascoltato i torrenti. La sua intelligenza, la sua potenza astrattiva gli sono bastate: e attraverso esse, Z. ha potuto vedere qualcosa che tutti gli altri non vedono.
Che bel sogno che è questo! Chi non vorrebbe essere dotato dell’intelligenza di Zarathustra? Sarebbe così bello! Così facile! Cosa c’è infatti di più bello di sentirsi profeta? Con parole oscure annunceremo le nostre profezie: e gli uomini ci ascolteranno, si innamoreranno dei nostri sguardi e delle nostre ermetiche frasi. Mentre lentamente doniamo loro la verità.
Mi verrebbe da parlare di un vero e proprio “mito di Zarathustra”. Evidentemente, nel momento in cui si giunge a un punto della propria vita in cui si è abbastanza pieni di sé stessi, molti sentono come il bisogno di iniziare a spartire i propri doni, e si inizia a vivere nel mito di Zarathustra, il mito del profeta, il mito di colui che sa in maniera definitiva e fa beneficenza regalando agli altri la sua infinita sapienza.
Tuttavia, diciamocelo chiaramente, noi sappiamo che la conoscenza non è questo. La conoscenza, oggi ma anche ieri, è fatta di dubbi, di “non lo so” detti ad alta voce, di approfondimenti e di complessità. E probabilmente nel profondo lo sanno anche molti di questi personaggi che si ergono nell’opinione pubblica con questi atteggiamenti, con questi modi di fare. Molti, troppi, intellettuali italiani si ubriacano nel loro mito di Z. E infatti, non a caso, le università, le televisioni, i giornali strabordano di Zarathustra o, di aspiranti tali, che come lui sono saturi fino al disgusto della loro saggezza e non aspettano altro che somministrarla ai comuni mortali.
Il problema è che “fare lo Zarathustra” è sia narcisisticamente soddisfacente per il profeta, che affascinante e seducente per chi viene profetizzato. Quando ci si convince che il nostro interlocutore abbia possesso di una verità di cui egli può renderci partecipi, finiamo dentro a una situazione pericolosa. Da ascoltatori si diventa adepti, da menti critiche si diventa epigoni. Il profeta che sentenzia dalla sua cattedra, con le sue oscure frasi che più che colpirci ci confondono (ma del resto non siamo alla sua altezza) sta costruendo attorno a noi una gabbia invisibile.
E allora non ci sono più molte scelte se non si vuole rimanere lì dentro per troppo tempo: il maestro che si credeva di aver trovato va (metaforicamente) ucciso per liberarsi dalle catene che ci stava creando intorno. Le sue posizioni vanno problematizzate, le sue assunzioni individuate e attaccate per testarne la stabilità. E a quel punto riusciremo, forse, a individuare dove finisce la sua intelligenza e dove inizia la sua vuota profezia.
La riflessione vera e propria si chiude qui. Ad essa vorrei aggiungere un post scriptum. Il problema che abbiamo davanti ora è il seguente: come riconoscere questi dannati Zarathustra? Come riconoscerli per non rimanere da essi intrappolati? Propongo allora un personale identikit che possiamo aggiornare e allargare insieme.
uno Zarathustra non dice mai di non sapere qualcosa.
uno Z. si appella costantemente ai grandi autori del passato, perché nulla soddisfa lo Zarathustra quanto porsi alla stessa altezza di Omero e di Cartesio.
uno Z. odia entrare nei dettagli, lui ama i concetti generali, quelli che spezzano tutti i confini (e che quindi vogliono dire tutto e nulla). Le sue parole saranno Tecnica, Anima, Essere, Virtù, Mercato e “I nostri tempi”.
uno Z. annuncia sempre l’apocalisse imminente, e si crogiola nel suo esserne (a suo dire) consapevole.
uno Z. non fornisce mai definizioni chiare. I suoi pensieri sono troppo profondi per essere rinchiusi in rigide parole.
Mi sono molto divertito a scrivere questo numero. La verità è che nelle ultime settimane ho assistito ad alcune conferenze che mi hanno fatto salire il sangue al collo. In quanto vittima recidiva di vari sedicenti Zarathustra, sentivo il dovere di ordinare queste riflessioni e proporvele dopo le mie esperienze recenti.
Ma ora basta: i consigli.
“Se la vulva nel suo complesso è una città poco apprezzata, la clitoride è un bar lungo la strada: poco conosciuto, raramente considerato, probabilmente da evitare”.
Questo articolo del New York times esplora il problema della mancanza di conoscenza e di ricerca, nel campo della medicina, dell’organo del piacere femminile per eccellenza: la clitoride. Attraverso una panoramica delle motivazioni e delle conseguenze negative di questa omissione, aiuta a fare un passo verso una maggiore consapevolezza di un’attrice fondamentale nella vita sessuale femminile.
Per i naturalisti Chernobyl è affascinante. La città vittima del disastro nucleare è un esempio unico di ritiro improvviso degli umani da un territorio industrializzato. Come si è ripresa la natura dal disastro nucleare? La vita è esplosa nella sua diversità o non è riuscita a riprendersi dalle scorie radioattive? In questo video, viene ripercorsa la letteratura scientifica a riguardo. Emergono le persone dietro agli studi, ed è molto interessante per comprendere meglio come funzioni la ricerca scientifica.
Ho trovato una guida stupenda fatta da un critico cinematografico su come scegliere che film guardare quando non si cosa guardare. Dateci un occhio è strabella e originale.
Che rapporto abbiamo con i noi stessi del passato? Studiare da un punto di vista empirico le problematiche legate a domande come questa non può che essere complicatissimo. Un esempio virtuoso proviene da un paper neozelandese, la cui cosa più interessante credo sia l’approccio metodologico.
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