Benvenuto nella prima newsletter di Autarkeia! Ti ringrazio della fiducia. Essendo il primo numero, ti chiedo di essere indulgente (non è vero bastonatemi pure) soprattutto rispetto alla parte tecnica: se rilevi incoerenze o qualcosa che non funziona, non farti problemi a comunicarmelo. Per chi non abbia avuto tempo o voglia di leggere il Manifesto del progetto, ecco in breve che cos’è Autarkeia. La newsletter è strutturata in quattro parti indipendenti tra loro: una riflessione libera, un commento su una notizia di attualità, suggerimenti vari riguardo ciò che si può trovare di interessante su internet, e infine i consigli di lettura. Ti invito a scrivermi (rispondendo direttamente a questa mail) per consigli, idee, opinioni e critiche, così che tu possa aiutarmi a migliorare il progetto. Ma basta convenevoli e iniziamo.
“Tutti sono identici nella segreta tacita convinzione di essere, in fondo, diversi da tutti gli altri. E questo non è necessariamente perverso.”
David Foster Wallace
Nel senso comune è diffusa l’idea che imparare significhi sempre conoscere cose nuove, anzi meglio, comprendere cose nuove. Nessuno osa mettere in dubbio che questo sia molto spesso vero, ma lo è sempre? Vediamo.
La maggior parte delle cose che si studiano a scuola, in Italia probabilmente in maniera eccessiva e questo ormai è diventato un cliché, riguardano il passato: studiamo i Sumeri, Petrarca, la geometria euclidea, i Promessi Sposi e la Guerra dei Cent’anni.
Ora, qualsiasi professore, se gli venisse chiesto il perché studiamo questi avvenimenti piuttosto che quelli della contemporaneità, probabilmente tenderebbe a rispondere che essi sono fondamentali per la storia dell’umanità; e che per capire come le cose stanno oggi, dobbiamo apprendere come stavano ieri così da comprendere cosa hanno pensato gli uomini del passato per condurci dove siamo ora. E questa è sicuramente una risposta valida. Ma dove sta allora il problema?
Che una cosa non ci viene spiegata. Guardare la storia (militare, letteraria, politica, filosofica) all’indietro, con gli specchietti retrovisori, porta a due conseguenze: la prima consiste nel pensare agli avvenimenti come se essi dovessero necessariamente giungere a dove siamo oggi (cioè che non potessero andare altrimenti). Mentre la seconda, più diffusa, consiste nel guardare ai pensieri, alle scoperte e ai fatti accaduti in passato con le conoscenze, i preconcetti e i pregiudizi del nostro contesto presente. Ed è qui che voglio andare a parare.
A cosa pensereste se vi dicessi che l’uomo non aveva mai visto la Terra come pianeta dallo spazio prima degli anni ‘60? E che la prima foto della Terra completamente illuminata e vista nella sua totalità è stata scattata nel 1972? Parliamo di Blue Marble, la foto qua sotto. Vi erano stati in precedenza altri scatti parziali, ma nessuno era riuscito a restituire l’immagine di un pianeta prevalentemente blu, piccolo se confrontato col buio tutto attorno, e unico (il titolo della foto va tradotto con biglia blu). Aggiungo, per curiosità, che questa foto viene considerata l’inizio simbolico del movimento ambientalista, perché fu la prima volta in cui gli umani si resero conto di quanto il nostro pianeta fosse fragile, lì tutto solo, sospeso nel nulla.
Qual è la conseguenza a cui non pensiamo? Che tutti gli uomini vissuti prima degli anni ‘60 non avevano idea di come dovesse apparire la Terra in foto nella sua totalità, vista da fuori. Quindi tutte le idee, le scoperte e gli avvenimenti della storia dell’umanità prima di quegli scatti avevano come protagonisti uomini che non sapevano come la Terra apparisse agli occhi neri dell’universo. Tenendo presente questo, cosa pensereste se vi dicessi che vi furono alcuni sapienti tra gli antichi greci che già più di 2000 anni fa avevano ipotizzato e tentato di dimostrare che la terra fosse una sfera? Dimenticate tutto ciò che sapete, avevano solo i loro occhi e il cervello. Incredibile, vero? La Terra infatti, vista da dentro, sembra tutto tranne che sferica (ancora oggi ci sono persone che fidandosi del loro intuito credono che sia piatta). E questa dei greci è una cosuccia da nulla, manco si studia a scuola. Ma invece tutto il resto?
Prendiamo ora un esempio più calzante per i nostri fini: la Rivoluzione Copernicana. Per più di un millennio la Terra venne considerata come il centro immobile dell’universo. Attorno ad essa vi era il Cielo, in cui si sviluppavano delle sfere concentriche che ruotavano attorno al loro centro: la Terra, appunto. Vi ricordo che ogni ipotesi veniva fatta a partire dall’osservazione che potete fare voi ogni sera alzando lo sguardo, dimenticate quindi Blue Marble, anzi dimenticate i telescopi. Ma un bel giorno, durante la primavera del 1543, Mikołaj Kopernik, il bel giovane coi boccoli che vedete qua sotto, morì lasciando un libro che ci ha letteralmente gettati nell’universo, o, per dirla con Nietzsche, da quel giorno “stiamo errando come attraverso un infinito nulla”.
Immaginate la gente del tempo quando qualcuno è saltato fuori sostenendo che da più di mille anni tutti si stavano sbagliando, che in realtà non era il Sole a muoversi, ma la Terra. “Ma è ovvio che la Terra giri attorno al Sole!”. Siete sicuri che sia così ovvio? Guardatevi attorno un secondo: vi sembra che qualcosa si stia muovendo? L’ipotesi di Copernico è incredibilmente controintuitiva e geniale. Le implicazioni di porre il Sole e non la Terra al centro dell’universo sono gigantesche. Per esempio: se la Terra non è al centro di tutto come facciamo a sostenere che tutto sia stato creato per noi?
Dimenticate ciò che credete di sapere. Pensate a un uomo del ‘500 che è vissuto tutta la vita convinto di essere il centro del creato, e che tutto sia stato creato per la sua specie eletta, la specie creata ad immagine e somiglianza di Dio: l’intuizione di un uomo apre una crepa, e tutto l’edificio inizia a scricchiolare. Ai nostri occhi sembra tutto così banale: “che ingenui, che stupidi credevano a cose davvero assurde!”. Beh, tu sei cresciuto nel mondo globalizzato delle esplorazioni spaziali, di Blue Marble e delle foto di Hubble. Devi riuscire a svestirti di ciò che dai per scontato. E forse allora riusciremo ad avvicinarci alla vertigine che chiunque deve aver provato nell’iniziare a pensare che forse la Terra non era ciò che per migliaia di anni si era creduto che fosse.
E da Copernico in poi le cose “peggiorarono”. Andiamo avanti nel tempo: quando poi si è scoperto che il Sole è solo una tra le centinaia di miliardi di stelle della nostra galassia? E che la Terra è solo uno tra migliaia di pianeti potenzialmente abitabili che ruotano attorno alla loro stella? E che la nostra è solo una tra miliardi di galassie? Vi viene l’ansia vero? Infatti la smetto, ma questo discorso è importante.
Tutto è partito da lì. Da Copernico: bisogna recuperare l’emozione di quella intuizione, tentare di guardare all’eccezionalità di tutto questo liberi dai nostri preconcetti. E questo è solo un esempio: probabilmente lo si potrebbe fare, seguendo questa prospettiva, per la maggior parte delle cose che si studiano a scuola. Ma qual è il punto? Che anche ponendoci sotto questo orizzonte ci risulta impossibile realizzare pienamente lo sforzo e l’arditezza dell’impresa di Copernico. E sapete perché? Non perché non riusciamo ad apprendere nuove nozioni, a comprendere perfettamente le sue teorie. Ma perché non riusciamo a dimenticare davvero ciò che già sappiamo. La più grossa difficoltà nel comprendere davvero la grandezza di un’idea passata, di Copernico in questo caso, ma lo stesso discorso si potrebbe fare per la teoria dell’evoluzione di Darwin, la Divina Commedia di Dante, l’Illuminismo ecc., sta nel dimenticare ciò che già sappiamo, non nell’apprendere cose nuove: perché molte delle ovvietà che sono divenute parte integrante del senso comune e che sono talmente radicate in noi da farci dimenticare della loro esistenza, probabilmente sono così ovvie proprio grazie a quegli uomini che stiamo studiando.
Ora l’attualità. Mi sono ripromesso che nella parte di commento di questa newsletter parlerò di coronavirus il meno possibile (sto scrivendo mentre sono in quarantena e solo a udire la parola sento la nausea), ma mi scuserete se utilizzo la pandemia per parlare di altro. Questa è la seconda parte della newsletter: analizzeremo una notizia, un dato o un fatto della settimana così da poterci costruire sopra un’opinione che vi invito a contrastare se ritenete di non essere d’accordo.
A settembre è uscito un paper dell’OCSE (l’organizzazione internazionale di cooperazione economica che raggruppa tutti i paesi più sviluppati del mondo) che tratta un argomento che mi sta particolarmente a cuore. Quali sono le perdite economiche che la chiusura delle scuole causerà nel lungo periodo? La risposta a questa domanda è più grave di quanto si possa immaginare.
Secondo lo studio, gli studenti che non sono potuti andare a scuola nella prima parte del 2020 percepiranno in media un reddito del 3% più basso durante la loro intera vita, mentre le nazioni perderanno l’1.5% del PIL annuale fino al 2100. Impressionante, vero? La cosa peggiore è che questi dati si basano su un solo lockdown, quello di inizio 2020 (e in questo momento le scuole sono in didattica a distanza).
Il motivo di questi dati è semplice: più una nazione è istruita (skilled), più cresce velocemente. Cosa significa questo? Che le scuole non vanno tenute aperte solo per un qualche principio etico (a cui io sinceramente credo), ma anche per puro interesse economico. Inoltre, questo paper rivela il motivo per cui la politica non basa le proprie campagne elettorali sulla scuola: investimenti nell’istruzione portano a risultati nel lungo periodo e, quando quei risultati si paleseranno, il partito che ha fatto quell’investimento (non solo di capitale economico ma anche politico) chissà dove sarà. Quindi cosa conviene? Beh, distribuire soldi a pioggia nei portafogli dei lavoratori, che loro, sì, votano subito. Sto dicendo che questo sia sbagliato? No, è un discorso a monte. Investire nella scuola non porta consenso immediato (la maggior parte degli studenti è inoltre minorenne): come uscirne? Bella domanda. Idee?
Prima di passare ai consigli di lettura, cioè l’ultima parte della newsletter, vi riporto alcuni link dal web. Ritengo che internet sia uno strumento formidabile, e che, se utilizzato in maniera attiva e propositiva, possa essere qualcosa di davvero prezioso. Per esempio su YouTube, sia in italiano che in inglese, vi sono tantissimi canali di divulgazione validi e interessanti. Penso che la maggior parte della mia frustrazione giornaliera derivi dal sentirmi spesso cibo per algoritmi, dopo aver passato al cellulare molto più tempo di quanto vorrei. So che è difficile, ma bisogna combattere la tentazione e usare internet come strumento di crescita, non di alienazione.
Riguardo ai contenuti che cito, cercherò di consigliare articoli solo da fonti affidabili e autorevoli. Ecco qui:
Un articolo di Vox pieno di consigli su come affrontare questo inverno pandemico che non sarà sicuramente facile. “Come fare in modo che questo inverno non faccia totalmente schifo?” Bella domanda. Ed è il titolo dell’articolo, infatti.
Sentiamo costantemente parlare di terapie intensive, ma che cosa vuol dire davvero? Il Post sarà una presenza fissa della newsletter (penso sia il miglior giornale online italiano), e questo articolo mette i brividi. Questo passaggio mi ha scioccato: “Ogni volta che un anestesista rianimatore oltrepassa le porte della terapia intensiva sa che un errore può determinare la vita o la morte di un paziente.”
Penso che Kurzgesagt (ci ho messo 40 minuti a scriverlo giusto) sia il miglior canale YouTube al mondo. Tratta temi scientifici e filosofici mediante delle animazioni grafiche incredibili (e se non masticate l’inglese, tutti i video hanno i sottotitoli in italiano). Vi lascio il mio video preferito.
E infine, vi consiglio un video strettamente legato alle tematiche che abbiamo trattato oggi. Roberto Mercadini è uno scrittore, attore e narratore e ha un meraviglioso canale YouTube. In questo video spiega come secondo lui si possa riuscire oggi a capire la grandezza di Giotto. E indovinate come? Dimenticando ciò che già sappiamo.
E ora consigli di lettura da un bibliofilo ossessivo e preoccupante (meglio che non vediate la mia libreria).
Il più grande uomo scimmia del Pleistocene, di Roy Lewis
Questo romanzo racconta la storia di una famiglia di ominidi che sotto la guida del capo famiglia progredisce ad una velocità impressionante. Il libro si basa sull’anacronismo, da cui nascono inconvenienti e scene esilaranti. Un racconto tanto divertente quanto intelligente che ci ricorda tutto ciò che diamo per scontato. Roy Lewis poi scriveva benissimo.
Storia degli ultimi settant’anni, di Scipione Guarracino
Avete presente quella sensazione di rabbia che si prova quando, dopo avere finito le superiori, non si sa nulla della guerra fredda, di chi sia stato Gorbačëv o di quando sia caduto il muro di Berlino? Ecco, questo libro è perfetto per colmare le lacune, soprattutto se avete iniziato a lavorare o non studiate storia all’università. La storia recente è la storia più importante perché è quella che realmente influenza il nostro presente. E, beh, non ne sappiamo nulla. Guarracino è uno storico affermato e ha avuto la bella idea di scrivere questo saggio agile, denso ma scorrevole. Dato che affrontare da soli un manuale di storia contemporanea diventa molto impegnativo, questo libro può essere la soluzione.
La newsletter finisce qui. Per me scriverla è stato una piacevole fatica, e spero possa essere l’inizio di qualcosa di bello. Grazie della fiducia e, se hai apprezzato il mio lavoro, ti chiedo di inoltrare questa mail a persone che pensi potrebbero essere interessate e a condividerla sui social. Il problema dei progetti culturali è sempre lo stesso, uscire dalla propria bolla e raggiungere più persone possibili. Se il progetto e la newsletter ti piacciono, dammi una mano!
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Daniele