Autarkeia è una newsletter di riflessioni che esce due volte al mese di domenica mattina.
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Eccoci qui. Vi ringrazio per tutti i messaggi che mi sono arrivati per l’ultimo numero. Sono felice vi sia piaciuto. So che era un po’ più complesso e tecnico del solito, e proprio per questo non sapete che soddisfazione è per me sapere che centinaia di persone si prendono del tempo per comprendere ciò che scrivo. Riparlerò di complimenti in futuro, promesso. Questa settimana non sono riuscito a preparare i consigli, chiedo scusa. Per il prossimo numero cercherò di compensare.
Oggi parliamo di narrazioni, di come raccontiamo noi stessi in particolare non agli altri, ma a noi stessi. Vorrei proporre riflessioni su alcune narrazioni che credo siano particolarmente diffuse, per criticarle e ragionarci sopra. Tra poco mi spiegherò meglio. Intanto vi ricordo che se volete supportare il mio lavoro e apprezzate quello che facciamo, esistono principalmente due modi: la wishlist di libri e i caffé di Ko-Fi (grazie alle molte persone che hanno già deciso di farlo).
"Io son poi solo, loro sono tutti" è una celebre citazione da “Memorie del sottosuolo” di Dostoesvkij. Oltre ad essere la dimostrazione di come per dire cose potenti non serva usare né parole altisonanti né concetti astrusi, essa racchiude un modo di vedere il mondo affascinante e diffuso, poiché fa facile presa sulle nostre caratteristiche biologiche e culturali. In questa riflessione parlerò di autonarrazioni, e in particolare di quella esposta sinteticamente dalla citazione. Quella che io chiamo l’autonarrazione dell’io contro tutti.
Che cosa intendo per autonarrazione? Un’autonarrazione è la narrazione che una persona fa di se stesso a se stesso. Essa si differenzia da quella che è la narrazione che cerchiamo di proporre agli altri, più che altro a causa del fatto che è molto più semplice mentire agli altri che alla propria coscienza. Quindi tendenzialmente a se stessi si narra una storia che è quella che sentiamo come la più vera, o come la più adatta al momento che stiamo vivendo.
Sapersi raccontare a se stessi è fondamentale. Succede infatti che a seguito di sbagli, di errori, si finisce per sentirsi i cattivi della storia, oppure di non stare rivestendo il ruolo del buono che si pensava di rivestire. E questo diviene motore di grandi cambiamenti positivi. Ma, tristemente, non solo: vedersi da fuori e sentirsi parte di una storia triste, o di una storia che non funziona, o di una storia che ha una fine scontata e che non riusciamo a non odiare ha conseguenze pesanti, potenti. Spesso mi viene da accostare la depressione ad autonarrazioni insoddisfacenti: la depressione può essere intesa come l’incapacità di darsi un’autonarrazione che apprezziamo, un’autonarrazione di cui si ha sincera stima.
Al contrario quando ci sentiamo coerenti all’interno del nostro contesto autonarrativo siamo allegri, o meglio, carichi di vivere, di proseguire nella storia. Questo perché le autonarrazioni sono fondamentali per dare una forma alla propria identità, per sentirsi parte di una continuità interiore. Se sentissimo di rinascere tutte le mattine, la nostra vita personale sarebbe totalmente insostenibile. Abbiamo bisogno di sentirci parte di una continuità, e poiché siamo animali che vivono di narrazioni da quando esistono, non possiamo che raccontarne una anche su noi stessi. L’autonarrazione diventa fondamentale alla costruzione di un sé funzionante.
Le autonarrazioni mutano, si trasformano, si negano e rinascono. Non credo esista persona che per tutta la vita abbia tenuto le stesse autonarrazioni. Per quello che posso vedere io, e per quello che osservo intorno a me, e quindi ciò che è interno a quella bolla culturalmente giovane e ambiziosa che si crede più matura di quello che è, un insieme di autonarrazioni è ampiamente dominante. Ed è quello dell’io contro tutti.
Perché l’io contro tutti è così affascinante e facilmente accettabile come autonarrazione? Perché esso si innesta su meccanismi profondi e strutturali. Non ci possiamo fare niente: nasciamo in un solo corpo, in una sola posizione spazio-temporale. Sebbene il vivere più vite sia un sogno dell’umanità da sempre, la vita che vivremo è unicamente quella che stiamo vivendo ora. Quindi non possiamo non contrapporre il proprio io al mondo. Potremmo dire che il rapporto io e mondo è il rapporto umano primordiale: la contrapposizione tra soggetto e oggetto è ovvia, immediata, intuitiva, sin da quando apriamo gli occhi sul mondo. Crescendo ci si rende poi velocemente conto che la nostra realtà è popolata da numerosi altri soggetti, e che anch’essi contrappongono il proprio io al mondo.
I rapporti allora divengono tre: o meglio, il rapporto tra io e mondo si sdoppia. Oltre ad esso, infatti, abbiamo il rapporto tra il mio io e un altro io, che è sì una porzione di mondo, ma è una porzione speciale di esso. E allora: come mi devo rapportare a quell’altro io? E questa è forse la domanda etica fondamentale.
Dato che questo è il contesto - potremmo dire metafisico - in cui cresciamo, è facile capire perché l’autonarrazione dell’io contro tutti abbia un forte carisma. Essa sottintende una competizione costante con gli altri io, a volte palese, a volte nascosta. Essa è sia un attacco che una difesa preventiva. Attacco: perché vede la vita come una lunga lotta per delle risorse limitate, per l’occupazione di un numero definito di ruoli. Di difesa: perché anche quando coopereremo, lo faremo consapevoli nel profondo che è tutta una messa in scena, che la fiducia è solo una facciata e che la società non è che un tutti contro tutti.
Per ora ho descritto questo tipo di autonarrazione. Ma anche solo da un tentativo di descriverla credo che ne emerga già la tossicità intrinseca. Possiamo davvero vivere così il nostro rapporto con gli altri? Non è presuntuoso questo modo di raccontarci? Non stiamo assumendo già come premessa nella nostra visione del mondo il nostro essere speciali a prescindere? I successi dell’umanità sono successi di cooperazione. Per quanto la competizione sia in grado di fornire incentivi ed è giusto che alcuni luoghi siano competitivi, è davvero possibile vedere il proprio intero rapporto io-mondo in questi termini?
Non credo. Per quanto sia vero che tutti, chi più chi meno nel profondo, si credano speciali, bisogna avere rispetto degli altri, e non sentirsi a priori superiori nei confronti del prossimo (e questa altro non è che la definizione di arroganza), perché questa è una credenza illegittima. In più, sebbene l’empatia sia per definizione un atto limitato (in quanto non è possibile vivere totalmente le esperienze di un’altra persona), credo con fermezza che l’atto empatico sincero sia la migliore delle palestre intellettuali.
Non solo: si può costruire un’argomentazione egoistica. Se si contrappone se stessi a tutti gli altri, come si può non traballare costantemente? Anche se si è i migliori, i più bravi e belli del mondo, tutti gli altri sono tanti. I rischi di sentirsi in difetto, sconfitti dalla massa degli altri, diventano all’ordine del giorno. La vita diventa un incubo. Bisogna costantemente dimostare a se stessi di essere diversi, di essere speciali, ed è ovvio che questo non è sempre possibile.
É giusto che ognuno costruisca pezzo dopo pezzo la propria autonarrazione. Ma la tesi che ho provato ad argomentare (dopo averne sofferto anche sulla mia pelle) è che raccontarsi nel proprio rapporto con gli altri non può prescindere da un rispetto a priori nei confronti di quegli stessi altri. E questo perché la vita non fa altro che mostrarti come tu sia migliore di altri in alcuni aspetti, e peggiore di altri in altri. Che qualcuno migliore di te c’è sempre, e che qualcuno peggiore di te c’è sempre. Rifiutare l’io contro tutti diviene un modo per accettare i propri fallimenti e apprezzare i propri successi.
E allora non ci rimane che dire che io non sono solo, e che sono tra loro nei tutti.
Ti è piaciuto questo numero? Dietro ci sono io, Daniele. Sono laureato in Filosofia teoretica e studio Scienze filosofiche a Bologna. Gestisco con Giorgio il progetto. Autarkeia vive dell’apprezzamento della community. Vorresti supportare il progetto e valorizzare le decine di ore settimanali che stanno dietro a ogni numero? Ci sono due modi per farlo:
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E siamo alla fine di questo numero. Vi ricordo che tutti i numeri precedenti sono visionabili a questo link, che i modi per supportare il progetto sono due: Ko-Fi e la wishlist di letture!
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Abbraccio e in bocca al lupo,
Daniele
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