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Eccoci qui. Da oggi non sono più da solo a lavorare su Autarkeia! Giorgio collaborerà con me e si presenterà presto sulla nostra pagina Instagram che vi raccomando di seguire: proporremo contenuti aggiuntivi e complementari al nostro appuntamento domenicale. La trovi qui.
Al numero di oggi tengo tantissimo. Sia perché la riflessione mi appartiene quasi visceralmente, sia perché mi commuove vedere il progetto crescere.
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Every single person on Earth is here involuntarily.
Uno dei miei luoghi digitali preferiti è Reddit, un social media particolare. Reddit è uno dei siti più frequentati al mondo, ma gran parte dei suoi utenti provengono dal contesto anglosassone, ed è per questo che i contenuti postati sono quasi esclusivamente in lingua inglese, e questo sfortunatamente allontana molti italiani dal frequentarlo. Tuttavia, il mio invito è di fare uno sforzo anche per migliorare il proprio, di inglese, mentre ci si immerge nelle migliaia di subreddit presenti nella piattaforma (cioè le varie community in cui Reddit si suddivide dedicate a determinati argomenti e contenuti). Per come lo interpreto e vivo io, Reddit è probabilmente l’unico social media che permette e promuove un approccio diverso al mondo delle comunità online. In esso è possibile trovare migliaia di discussioni stimolanti ed esaurienti su pressoché qualsiasi tema (dalla filosofia della fìsica ai buchi di trama in Harry Potter). Vi lascio una lista dei migliori subreddit se volete provare ad avventurarvici. Il mio subreddit preferito è ShowerThoughts.
Come spesso mi sono sentito dire, per molti la doccia è un importante momento di riflessione. Costretti sotto l’acqua calda a non poterci dedicare a nient’altro, la doccia si rivela come uno dei pochissimi momenti che siamo costretti a dedicare allo stare con noi stessi. Mentre siamo nudi, soli e in silenzio, nella nostra mente iniziano ad affollarsi idee e ricordi, domande e dubbi esistenziali. Ed ecco il senso dietro a ShowerThoughts: condividere le idee e le riflessioni che sorgono in noi mentre ci sciacquiamo i capelli dallo shampoo. Tra i tanti lampi di genio che vi si possono trovare all’interno, uno mi ha colpito particolarmente e ho pensato fosse perfetto per iniziare questo numero (e al contempo consigliare qualcosa di bello). E quindi:
Ogni singola persona sulla Terra è qui involontariamente.
Che cos’ha di interessante questo pensiero? L’avverbio involontariamente. L’idea è che nessuno abbia chiesto di venire al mondo: essere apparsi in un determinato contesto spazio-temporale è un avvenimento al di fuori della nostra volontà. Si nasce, ma senza decidere né dove né quando e, soprattutto, senza scegliere di nascere. E da qui il senso dell’avverbio. Proviamo a ragionare su questo pensiero con due obiettivi: da un lato per tentare di comprendere e approfondire quel sentimento di ansia di fondo, quell’angoscia di vivere che tutti abbiamo avuto qualche volta nelle nostre giornate; dall’altro per cercare di costruire e di fondare un sentimento di empatia collettiva, quella che mi sento di chiamare empatia da panico. Cominciamo.
Per comprendere bene quello che voglio spiegare dobbiamo partire da uno di quei tanti concetti che in filosofia vengono espressi con paroloni spaventosi, anche se in realtà sono semplici da capire: teleologia. Telos in greco antico significa fine, scopo, direzione. Credere in una teleologia, o in un mondo teleologicamente orientato, significa credere ad un mondo con una direzione, a un mondo con uno scopo predefinito. Un mondo è teleologico quando ogni cosa che lo compone ha uno scopo a cui necessariamente va incontro. Un esempio di mondo teleologico (o meglio di concezione di mondo teleologico) è un mondo provvidenziale, ossia con una provvidenza. Se un mondo è stato disegnato da una divinità che orienta lo scorrere dei fatti nel tempo, quel mondo è allora teleologico. Le implicazioni dal credere in un universo del genere sono tante e complesse: la prima e più immediata riguarda il libero arbitrio. Se tutte le cose si muovono necessariamente in una direzione, questo ne comporta una perdita di libertà sostanziale. Quindi anche la nostra si rivelerebbe una libertà apparente. Ma non ci interessa muoverci in questa direzione.
Ovviamente definire se ci sia o no una teleologia è oggetto di controversie millenarie. Tuttavia, ciò che possiamo dire oggi con una certa sicurezza, è che dalla nostra prospettiva una teleologia non sembra esserci, e, anche se ci dovesse essere, non si presenta davanti a noi intuitivamente e non sembriamo conoscerla. Se fossimo costantemente consapevoli del disegno che dirige i fatti del mondo e che li orienta a scopi definiti, il futuro perderebbe di incertezza e oscurità. Ma non lo siamo. Infatti non conosciamo il futuro e troviamo quasi impossibile predirlo. Tristemente quindi, per quanto dall’alba dell’umanità tentiamo di farlo in molteplici modi, la previsione esatta del ciò che accadrà rimane al di fuori delle nostre possibilità.
Dopo questa panoramica, concentriamoci su ciò che ci è più vicino: la condizione umana. Tenendo a mente le considerazione precedenti, proviamo a definire alcuni aspetti della condizione metafisica umana nel contesto che abbiamo tracciato prima: venuti al mondo involontariamente, ci ritroviamo in un mondo privo di teleologia apparente, inconsapevoli del futuro e, fondamentalmente, soli nella nostra determinazione spazio-temporale (il qui e ora che chiamiamo corpo). In più, ciò che possiamo dire è che questa condizione, potremmo dire di partenza, sembra valere ed essere valsa per tutti gli esseri umani che fino ad oggi sono apparsi su questo pianeta che chiamiamo Terra.
Beh, questa non sembra la migliore condizione possibile in cui trovarsi. E, in effetti, essere un essere umano è tutt’altro che facile. Tuttavia, questo è quel che abbiamo e in cui tutti dobbiamo vivere, senza eccezioni. Ed è così che arriviamo al nostro punto di interesse. Siamo costantemente sovraesposti alle vite degli altri, e tendiamo a dimenticarci della condizione che ci accomuna. Anche a causa della visione parziale e frammentata che riceviamo delle esistenze degli altri, tutti ci appaiono come solidi, decisi e pronti a prendersi tutto ciò che vogliono dal futuro. Ma la verità è che nessuno può avere questa sicurezza in maniera totalmente fondata. E anche se qualcuno si atteggia e si pone nei confronti del mondo ingenuamente sicuro di tutto ciò che otterrà, come se avesse davanti a sé la propria teleologia, cioè lo scopo e la direzione del proprio futuro, quel qualcuno o sta fingendo o si sta sbagliando.
C’è una frase di Montaigne a riguardo che mi è molto cara:
Soltanto i pazzi sono sicuri e risoluti.
Nessuno sa davvero che cosa succederà. Domani ti svegli e potrebbe esserci una pandemia globale che ti costringe a chiuderti in casa e a vivere sotto un coprifuoco. É abbastanza banale dire che molte delle nostre ansie e insicurezze nascono da questa condizione. Il futuro è incerto, io sono esistenzialmente solo e non ho nessuna voce divina che mi accompagni nel fare le scelte, che mi dica quale sia la cosa giusta da fare. Allora non può che sopraggiungere il panico. Ma è arrivati a questo punto che iniziamo a fare passi logici che non ci sono consentiti. Iniziamo a sentirci gli unici che non sanno che cosa fare della propria vita, gli unici che non hanno ancora compreso la propria teleologia, il proprio destino, la propria direzione. E gli altri sembrano correre velocissimi, già certi del loro telos, della loro destinazione, perfettamente programmati per raggiungere i loro obiettivi. E allora che cosa posso fare io se non stare immobile? Per non soffrire mi congelo in distrazioni e nostalgie, nell’attesa che una mano, un pensiero, un sogno mi tiri fuori dal fango che sto creandomi attorno.
Ma mi sto sbagliando! Nessuno, nel profondo, sa davvero che cazzo sta facendo. E ci tengo ad affermarlo in modo diretto. Nemmeno gli uomini più potenti del mondo, nemmeno i più grandi geni della storia dell’umanità sanno o sapevano con certezza quello che dovevano fare o quello che sarebbero diventati. La prigione mentale che ho descritto sopra nasce dalla convinzione di essere gli unici insicuri in un oceano di uomini e donne certi. Ma come si può credere questo? Come si può credere di essere l’eccezione? Cosa saremmo allora? Gli unici uomini nella storia dell’umanità a cui la propria teleologia non è stata rivelata? Un ragionamento del genere, per quanto comune e spesso gabbia mentale anche del sottoscritto, è totalmente irrazionale. Nel momento in cui riconosciamo certe fragilità come strutturali, cioè appartenenti alla condizione umana in generale, non possiamo rimuoverle dagli altri, deumanizzandoli. E allora, la prima cosa da fare, è restituire umanità agli altri, a tutti gli altri, senza esaurirli nelle loro forze apparenti.
Per tutti questi motivi la propria solidità interiore non può essere scalfita dalle granitiche sicurezze apparenti che sembrano circondarci quando in realtà quelle sicurezze non sono nemmeno teoricamente possibili. Questa prospettiva va capovolta. Perché quella insicurezza è sì inevitabile, ma lo è per tutti. Non c’è persona che possa esimersi dal superarla e negarla. Il panico esistenziale del “non so che cazzo fare” in cui siamo costretti a vivere accomuna ogni essere umano. E va compreso che questa condizione è condivisa. Vedere gli altri tentare di raggiungere i propri obiettivi pur sapendo che potrebbero fallire, vedere gli altri fare scelte rischiose, deve generare stima, non insicurezza e immobilismo. Perché il loro punto di partenza (metafisico ovviamente, non storico-culturale) è identico al nostro. E vedere gli altri negare (nel senso di superarla) la propria insicurezza metafisica ci deve spronare a fare lo stesso. Ed è in questo modo che divenire consapevoli di ciò che ci accomuna ci permette di sviluppare e affinare le nostre capacità empatiche. Ci permette di comprendere senza giudicare il panico degli altri, e ci permette di non trarre conclusione erronee dalle loro sicurezze. Ci permette di fondare in maniera più viscerale le comunità di persone. E se è vero che nasciamo e cresciamo esistenzialmente soli, è proprio il panico del venire al mondo a diventare ciò che ci permette di crescere e diventare davvero parte dell’umanità, intesa nel suo senso più profondo. Perché è proprio nell’empatia da panico che l’io e gli altri non possono che incontrarsi e collaborare.
Riflessione conclusa. Se alcuni punti della riflessione vi hanno ricordato il pensiero di Schopenhauer, ci avete visto bene. Se hai apprezzato la riflessione e vuoi aiutarci a diffondere Autarkeia, clicca il bottone qui sotto! I consigli di oggi sono i primi scritti a quattro mani.
In questo video Ruhi Cenet ci porta a Lahore (Pakistan), considerata la città più sporca e inquinata del mondo (sì, il doppiaggio in italiano è rivedibile e abbastanza cringe, ma l’alternativa è l’originale in turco). Fa riflettere sui privilegi che non ci accorgiamo di avere.
Joe Rogan e Spotify hanno vissuto giorni intensi la settimana scorsa. La vicenda ha due punti controversi:
- Innanzitutto, il ruolo delle big tech nel mondo dell’informazione: è giusto che degli enti privati decidano quali siano i contenuti ammissibili e quali no, considerando che, in quanto aziende, hanno come obiettivo primario il profitto? Come possiamo definire cosa si possa dire e cosa no considerando che i concetti di giusto e sbagliato sono relativi e variano nel tempo?
- Quale è il nostro dovere come consumatori di contenuti informativi? Come possiamo divenire più attivi e critici nell’usufruire dell’oceano di informazione digitali? Beh, innanzitutto, leggendo Autarkeia (si scherza).
Per approfondire, qui è raccontata e spiegata la vicenda.
La storia di Leon Cooperman stimola riflessioni sui limiti e sui meriti del capitalismo. Figlio di immigrati polacchi negli USA, Cooperman è riuscito a costruirsi da zero un patrimonio miliardario. Il Washington Post lo ha intervistato, facendo emergere i dubbi morali e i calcoli che un miliardario si pone nel 2022. L’articolo è molto interessante perché capovolge la prospettiva che siamo abituati a tenere, e evidenzia in quale modo una persona così ricca giustifichi moralmente le grandi e innegabili disuguaglianze.
Quando ci approcciamo a qualcosa di nuovo tendiamo a farci influenzare dall’idea che avevamo precedentemente di quella cosa prima di incontrarla. Questo atteggiamento spesso finisce per non farci apprezzare ciò che scopriamo, perché diverso da quello che ci aspettavamo. Ma questo è un atteggiamento fallace, perché è utopia pensare che l’idealizzazione che ci creiamo delle cose possa essere totalmente sovrapponibile alla sua realtà. Roberto Mercadini ha definito questo cortocircuito umano come Il paradosso di Colombo. É un video stupendo.
Questo mese è il centenario dall’uscita dell’Ulisse di Joyce. Sul Post hanno scritto un bel pezzo su retroscena e curiosità di uno dei più grandi capolavori della storia della letteratura. Sapevate che la prima edizione dell’Ulisse conteneva più di duemila refusi ed errori di battitura?
Ti è piaciuto questo numero? Dietro ci sono io, Daniele. Studio filosofia a Bologna (anche se ora mi trovo a Warwick, in UK) e gestisco con Giorgio il progetto. Autarkeia vive dell’apprezzamento della community. Vorresti supportare il progetto e valorizzare le decine di ore settimanali che stanno dietro a ogni numero? Ci sono due modi per farlo:
Puoi regalarmi un libro che userò per produrre nuovi contenuti: sceglilo cliccando qui sotto!
The Diary of a Nobody, G. e W. Grossmith
Oggi vi consiglio due libri in lingua inglese. The Diary of Nobody è un piccolo gioiello di fine ‘800 che racconta la vita quotidiana di un uomo e di sua moglie che tentano in modo goffo di entrare a far parte della élite della città. É perfetto come libro da leggere per migliorare la lingua perché la prosa è semplice e leggera. Entrambi i libri di oggi rimandano a link Amazon perché non disponibili su Book Dealer.
Paradoxes non è un libro facile. Tuttavia, se vi affascinano i paradossi e le loro implicazioni, è probabilmente il miglior testo in circolazione a riguardo. Con taglio analitico e rigoroso, Sainsbury analizza le risposte contemporanee ai paradossi, dai più antichi e celebre ai più recenti e complessi. Questa edizione è stata arricchita anche da un capitolo sui paradossi morali. Essendo saggistica, è un inglese più complesso ma chiaro.
E abbiamo finito. É un periodo in cui mi sento un po’ demotivato. Per qualsiasi cosa, pensieri, commenti e riflessioni, scrivetemi che mi fate felice. Spero che questo numero vi sia piaciuto. Noi ci sentiamo fra quattordici giorni.
Abbraccio,
Daniele
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