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Ciao!
A un corso di scrittura e giornalismo a cui partecipai ormai più di un anno fa mi insegnarono che una importante caratteristica di una newsletter di successo è la sua regolarità. E per quanto, negli ultimi tre anni, io sia stato in grado talvolta di rispettare questo precetto, in tempi recenti la cosa non mi è proprio riuscita.
Quindi ho deciso che farò ancora peggio. Apro una nuova stagione che sarà caotica e priva di ordine. Usciranno un po’ di numeri di Autarkeia sparpagliati, a sorpresa.
Per prima cosa, usciranno una serie di pezzi (forse tre, forse quattro) sullo stare bene. Saranno una serie di riflessioni, compresa questa che segue, sulla quotidianità e sul provare a viverla bene, ad apprezzarla. Sul come impegnarsi per provare a stare, piano piano, sempre meglio.
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Cominciamo.
Ci tengo a ringraziare Valerio Rosso per aver stimolato queste riflessioni e per avermi fatto capire tante cose.
In una sera mite della scorsa primavera mi incontrai con uno dei miei più cari amici (che stimo infinitamente) per fare una delle nostre tradizionali passeggiate notturne. Si stava bene, faceva fresco ma non troppo, e Bologna era accogliente come sempre. Tristemente però, nessuno dei due stava benissimo. Entrambi abbiamo spesso faticato nel mantenere una salute mentale stabile, e proprio per questo abbiamo sempre amato confrontarci sulle nostre esperienze e sulle conseguenti riflessioni a riguardo.
Quella sera, infatti, stavamo parlando proprio di questo. Ricordo alcune mie frasi sin troppo pessimiste (stupide direi oggi), che causarono per alcuni momenti un necessario silenzio a sguardo basso nella conversazione. Poi il mio amico alzò la testa, mi guardò e disse come liberandosi di un peso
“Che poi a me sai cosa piacerebbe, non avere un corpo. . . essere un principio o qualcosa di simile”.
Annuii, e alzai le sopracciglia. “Effettivamente”.
Perché diciamocelo: il corpo è una gran rottura di coglioni. Si ammala, bisogna prendersene cura, starci dietro, viene costantemente giudicato. E questo anche se gran parte della nostra conformazione corporea non la scegliamo: altezza, lineamenti, efficienza metabolica sono figli di lotterie genetiche e metafisiche.
Ciononostante, il corpo è e sarà sempre la nostra prima presentazione al mondo esterno. In qualsiasi contesto sociale entriamo, il corpo è ciò che gli altri per prima cosa vedono e giudicano. Non abbiamo scelta.
E pensare che questa è la parte meno importante! Non solo noi appariamo come il nostro corpo, noi siamo il nostro corpo. Il dibattito accademico sul rapporto mente e corpo è immenso e davvero tanto complicato (io fatico a capirci qualcosa). Tuttavia, su alcuni problemi la scienza sembra lasciarci pochi dubbi.
Più capiamo in medicina e in psichiatria, più ci rendiamo conto di quante cose ruotino attorno al corpo e al suo funzionamento. Abbiamo 500 milioni di neuroni nel nostro sistema gastro-intestinale che sembrano spesso agire in maniera autonoma. Non c’è dualismo cartesiano vecchia scuola che tenga: è davvero difficile oggi concepire la coscienza come una sorta di etere che guida un’automobile.
Anche se, intuitivamente, il dualismo (l’idea che mente e corpo siano due sostanze separate) ha senso. Io mi sento una sorta di etere che guida un’automobile: ma questo è il famoso errore di Cartesio. Le interazioni tra mente e corpo sono tantissime, complicate e sorprendenti.
Un esempio che a me piace moltissimo è quello dei marcatori somatici: l’ipotesi per cui ogni emozione sia “marcata” da determinate reazioni corporee. Pensate a quel che succede quando immaginate un evento futuro che vi mette ansia: il figurarsi in voi di quello scenario causerà dei cambiamenti nel vostro corpo. Aumenterà il battito, sentirete una leggera stretta all’altezza del torace. Un pensiero (mentale) ha portato dei cambiamenti nel vostro sistema fisiologico (fisico).
Per quanto sarebbe bello vivere fluttuando come uno spirito, astraendosi dai propri obblighi terreni per andare qualche giorno in vacanza, sfortunatamente questo non è possibile.
A queste riflessioni si aggiunge una consapevolezza che sta emergendo con sempre maggior forza negli ultimi anni: è davvero difficile separare la qualità della propria salute mentale dalla qualità del proprio stile di vita.
Ciò che mangiamo influenza il nostro umore e l’eventuale insorgere di stati depressivi. Se non facciamo esercizio, siamo più ansiosi. Assumere troppo zucchero sembra che porti a una cattiva salute psicologica nel lungo periodo. Chi beve alcol è più triste. Chi fuma sigarette è più depresso, ansioso e povero (sigh). E potrei continuare con gli esempi.
Qual è il punto? Che se si sta male di testa, la prima cosa su cui si può lavorare è il proprio corpo. Anche se lo si odia, anche se non ci si è mai piaciuti, anche se, come il sottoscritto, del corpo non ci è mai fregato niente.
E non perché dobbiamo diventare dei palestrati nazi-salutisti o avere percentuali di massa grassa da body builder, ma perché se davvero si vuole stare meglio (cosa non scontata) non abbiamo molta scelta. Prima di rifugiarsi nelle benzodiazepine e di ingozzarsi di SSRI, si può provare ad andare a correre ogni tanto, magari iscriversi in palestra, e donare un po’ di attenzioni a zuccheri e calorie. E poi vedere come si sta.
Ora: significa questo che le persone con uno stile di vita sano siano tutte felici? Assolutamente no. Ciò che voglio dire è: il primo passo che si può fare se si vuole stare meglio è prendersi cura del proprio corpo; e il motivo è puro egoismo. Tendenzialmente, si sarà più felici. E non per qualche alto motivo etico-filosofico, non per una qualche eccentrica ideologia bucolica, ma per la dannata neurochimica del nostro dannato corpo.
Se poi questo non dovesse funzionare, a quel punto si potranno cercare altre soluzioni. Ci si potrà approcciare a un percorso psico-terapeutico, andando a lavorare sui propri processi cognitivi. E infine, in ultimo, se tutto ciò non dovesse funzionare, ci sono le medicine. Tuttavia, vi è un’inflazione diagnostica nel mondo della psichiatria, prendiamo troppe pillole e troppe persone vengono frettolosamente etichettate come mentalmente disturbate.
Quindi forse è meglio non avere fretta in quella direzione. Ci ho messo anni a realizzare che non mi avrebbero dato un nuovo corpo passati i venticinque anni. E ci ho messo anni a realizzare che dedicare del tempo al proprio corpo significa dedicare del tempo alla salute della propria mente.
Ti è piaciuto questo numero? Dietro ci sono io, Daniele. Sono laureato in filosofia teoretica e ora sono iscritto a Scienze Filosofiche a Bologna. In questo momento sto studiando alla CUNY, a New York.
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