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Buongiorno a tutte e tutti.
Di solito costruisco i numeri partendo da considerazioni generali per poi applicarle a contesti particolari, mentre oggi facciamo l’inverso: partiamo da un avvenimento particolare e, per comprenderlo a fondo, risaliamo verso considerazioni generali.
Il numero di oggi uscirà anche su Business Pills, un bel blog studentesco di economia e società, vi consiglio di darci un’occhiata.
E ora, cominciamo.
“Gli uomini sono continuamente in competizione per l’onore e per la dignità, e, di conseguenza, tra di essi sorge l’invidia e l’odio, e, infine, la guerra.”
Thomas Hobbes
Il 5 aprile Janet Yellen, segretaria del tesoro dell’amministrazione Biden (figura pressoché equivalente al nostro ministro dell’economia), ha rilasciato alcune dichiarazioni che hanno rapidamente fatto il giro del mondo. Yellen ha proposto una tassa minima globale sulle multinazionali per provare a contrastare il cosiddetto dumping fiscale, cioè l’escamotage che le nazioni utilizzano per fare in modo che le aziende collochino presso di loro le sedi legali, abbassando la pressione delle tasse e favorendone quindi il trasferimento. Il senso della proposta sta nel contrastare la mancanza di un coordinamento fiscale globale, perché è proprio l’assenza di questo coordinamento che ha portato gli stati, ormai da decenni, a farsi concorrenza al ribasso: abbassando sempre di più le aliquote, le nazioni cercano di conquistarsi le sedi fiscali di qualche gigante economico (il quale riesce così a pagare alle istituzioni quote sempre minori dei propri utili).
La proposta di Yellen è di impedire questa concorrenza al ribasso attraverso la fissazione di un minimo sotto cui nessun paese del mondo può scendere.
L’idea è stata accolta perlopiù in maniera positiva. Quando si parla di questi temi si tende a pensare ai giganti di internet che, per la loro costituzione aziendale atipica, pagano pochissime tasse anche grazie a questi meccanismi. E questo non tanto per negligenza dei legislatori, quanto per una difficoltà intrinseca nello strutturare una tassazione sulle aziende del web, liquide e, in un certo senso, onnipresenti: tanto che si è parlato di una “difficile arte di tassare le imprese digitali”. Anche in questo contesto, quella di Yellen si rivela come una delle soluzioni possibili.
Tuttavia, la positività che ha accolto la proposta è stata accompagnata da una quasi totale disillusione. Nonostante la leadership globale, seppur sempre più traballante, del gigante statunitense, l’idea di coordinare a livello mondiale una misura fiscale è definita praticamente impossibile dagli esperti. Tralasciando gli aspetti tecnico-economici della proposta, perché è quasi impossibile imporre una tassa mondiale?
Il nostro ragionamento comincia con un mostro: un gigantesco serpente marino presente in molte antiche mitologie, anche se con piccole differenze, il Leviatano. Esso è menzionato nell’Antico Testamento, in particolare nel Libro di Giobbe, in cui viene descritto così:
Fa ribollire come pentola il gorgo, fa del mare come un vaso di unguenti. Nessuno sulla terra è pari a lui, fatto per non aver paura. Lo teme ogni essere più altero; egli è il re su tutte le bestie più superbe.
Nell’Ebraismo e nel Cristianesimo il Leviatano ha assunto i più svariati significati: da simbolo della potenza del creatore a immagine di Satana.
Nella modernità il Leviatano ha assunto un altro e nuovo significato, che si è imposto come il più celebre. Nel 1651 viene pubblicato “Leviathan or The Matter, Forme and Power of a Common Wealth Ecclesiastical and Civil” di Thomas Hobbes. Abbreviato “Il Leviatano”, quest’opera ha influenzato in maniera decisiva l’intero pensiero politico successivo ed è considerata la prima teoria sistematica dello Stato moderno.
Hobbes nacque in Inghilterra nel 1588: egli stesso raccontò di essere stato partorito prematuramente a causa del terrore in cui sua madre era crollata alla notizia dell’arrivo dell’Invincible Armada di Filippo II, e di essere per questo “figlio della paura”.
E forse non a caso la paura ha un ruolo fondamentale nelle sue teorie. Il pensiero di Hobbes nasce contrapponendosi all’idea aristotelica per cui l’uomo sia un animale politico, cioè un animale che per natura sta nella polis. Hobbes crede il contrario: lo Stato è un corpo artificiale, prodotto dagli uomini mediante un patto. Prima di sigillare questo patto e costruire lo Stato, la situazione degli uomini era tutt’altro che piacevole.
Secondo Hobbes prima dello Stato gli esseri umani vivevano nella paura e nella continua lotta reciproca, in una guerra di tutti contro tutti (bellum omnium contra omnes) in cui ogni uomo desiderava godere il più possibile dei beni disponibili sulla terra, impedendo agli altri di fare altrettanto. In questo stato di natura, dominava il “continuo timore e il pericolo di una morte violenta” e la “vita dell’uomo era solitaria, povera, lurida, brutale e corta”. Gli uomini potevano contare solo sulla propria forza e astuzia, e ognuno era un pericolo e una minaccia per la vita altrui. Il timore reciproco era poi accresciuto dal fatto che, per il timore di essere ucciso, l‘uomo uccideva anche prima di essere immediatamente minacciato.
Non abbiamo lo spazio per approfondire tutti i passaggi descritti da Hobbes, ma per i nostri fini ci basta comprendere la struttura essenziale del suo discorso. Prima dello Stato l’uomo viveva in questo terribile stato di natura in cui “ogni uomo era lupo per gli altri uomini”. E allora viene da chiedersi: come abbiamo fatto ad uscire da questa situazione?
Hobbes spiega che lentamente gli individui iniziarono a rendersi conto che il male temuto da ognuno era in realtà lo stesso male che temevano anche tutti gli altri (la morte violenta) e per questo la forza del singolo non sarebbe mai stata sufficiente per difendersi da tutti gli altri. Gli uomini incominciarono così a prendere consapevolezza del fatto che il male comune richiede un rimedio comune. Per Hobbes è grazie a questa presa di coscienza che sorge l’etica, che può essere condensata e ristretta nella massima:
Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.
Hobbes nota che, se tutti gli uomini si fossero attenuti a questa massima, l’uomo avrebbe smesso di essere lupo per l’uomo. Ma, come è facile intuire, quella massima non veniva praticata da tutti, ma da pochi: ed è a questo punto che sorge il bisogno di una sanzione che funga da deterrente e che costringa gli uomini a non esercitare violenza tra di loro per soddisfare i propri bisogni e desideri.
Questo percorso porta gli uomini a prendere coscienza della necessità di una autorità che abbia la forza di infliggere una punizione: autorità a cui va conferito il monopolio della forza. Allora gli uomini stipulano un patto, in base al quale essi cedono all’autorità, lo Stato, il loro diritto naturale di usare violenza sugli altri e gli riconoscono il diritto di praticare tutta la violenza necessaria a punire chi ancora ritiene di poter essere, come individuo, violento.
Ed ecco che sorge lo Stato. Uno Stato assoluto che è conseguenza necessaria della natura dell’uomo. Ed è proprio lo Stato a essere definito da Hobbes il “Grande Leviatano”, per caratterizzarne la forza straordinaria. Quella di Hobbes è l’esaltazione più radicale dell’assolutismo: il patto che fonda lo Stato è un contratto tra individui stipulato per salvarsi dai pericoli dello “stato naturale” e che quindi non vincola in alcun modo l’istituzione statuale, che non ha limiti al suo potere.
Ovviamente l'idea di uno stato assoluto privo di contrappesi è per noi irricevibile, e non credo sia molto proficuo riflettere su questo: gli Stati occidentali possiedono ancora il monopolio della forza, ma lo esercitano nei limiti del diritto; il sovrano non fa quello che vuole.
Ciò su cui invece vorrei riflettere è un’altra idea di Hobbes, quella per cui senza un potere superiore che possa imporre sanzioni e punire chi non segue le regole, il patto sociale che lega gli individui crolla. E questo si rivela interessante alla luce di ciò che abbiamo detto all’inizio della nostra riflessione. Proviamo a considerare, per amor di teoria, i singoli stati come individui. Sebbene il sistema internazionale non sia assimilabile allo stato di natura hobbesiano, molte sue caratteristiche vi si avvicinano: proviamo allora a considerare le nazioni come entità individuali che agiscono in un contesto privo di un potere sovra-nazionale per comprendere più a fondo la natura del sistema politico internazionale.
La proposta di Yellen di imporre una tassa mondiale è irrealizzabile poiché non esiste un Leviatano globale. Non vi è alcun potere al di sopra degli Stati che possa costringerli a fare ciò che non vogliono fare. Ogni Stato è sovrano e questo significa che nessuna nazione può imporre ad altri tasse o cose simili, se non con la forza. Gli Stati pensano esclusivamente ai loro interessi e vivono, come spiegava Hobbes, in una continua guerra di tutti contro tutti. L’impossibilità di attuare la proposta di una tassazione minima globale è solo uno dei tanti modi in cui questa situazione si manifesta. In realtà questo discorso è alla radice di molti altri grandi problemi politici del nostro tempo: la lentissima integrazione europea, l’impossibilità di costringere altre nazioni a rispettare i diritti umani, la sempre più utopica democratizzazione del mondo.
Ciononostante, bisogna sottolineare i miglioramenti degli ultimi decenni, in particolare quello che è accaduto dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Le potenzialità tecnologico-militari di ogni nazione hanno costretto la politica a guardarsi in faccia e a prendere consapevolezza del fatto che così non si potesse andare avanti. Per evitare che le stragi continuassero ad accadere e che gli uomini vivessero nella paura, come era successo troppo spesso per tutta la storia moderna e contemporanea, si è allora tentato di imbrigliare gli Stati in una complessa ragnatela di alleanze e trattati, proprio per cercare in tutti i modi di costruire quel deterrente di cui già aveva parlato Hobbes in maniera straordinaria. Anche se questo ha permesso di fare passi avanti, si è ancora lontani dal giungere a una soluzione totalmente soddisfacente: spesso le nazioni firmano i trattati ma poi fanno quello che vogliono (non posso non pensare all’Egitto, a Zaky e a Regeni). Le guerre sono ancora molte e i lupi ancora di più.
Tuttavia, ciò che mi sembra emerga con chiarezza da questo discorso è un messaggio politico: il nazionalismo e la polarizzazione politica, il grido “prima noi” di un sovranismo miope in un mondo interdipendente non può che ricondurci a massacri e all’odio reciproco. Un’umanità che si prepara a volare su Marte e a esplorare il sistema solare, un’umanità che ha potuto vedere quanto siano irrilevanti le differenze tra gli esseri umani quando ci si vede dallo spazio, non può ritornare indietro. I piccoli passi che stiamo facendo per risolvere queste difficoltà strutturali del sistema internazionale non possono essere annullati da piccoli uomini divorati dalle proprie egoistiche ambizioni. Solo evidenziando ciò che ci accomuna e prendendo consapevolezza della nostra condizione, potremo prendere posizione e costruire delle comunità politiche che costringano gli Stati a essere sempre meno “lupi tra loro”.
La riflessione è conclusa. Trovo che riflettere su questi temi sia molto affascinante, fatemi sapere!
Questa settimana ho avuto più tempo, quindi ho un sacco di consigli per voi.
Se volete informarvi più approfonditamente sulla questione della tassa globale proposta da Yellen, vi consiglio sia un video contrario alla proposta che un articolo che ne sottolinea gli aspetti positivi.
Vi propongo un’altra bella rivista studentesca, Palin Magazine, di cui ho conosciuto il direttore, Massimo Salvati, a un laboratorio di scrittura. Con un approccio originale, Palin produce contenuti di livello, pubblicandoli in maniera originale seguendo periodi tematici.
Questa settimana mi è piaciuto molto un pezzo uscito sul Tascabile, Non concedersi. Alessia Dulbecco propone una riflessione sull’evoluzione del controllo sulla sessualità femminile: se prima a dominare era il mito della verginità, oggi i modi sono più sottili. Ho apprezzato anche come Dulbecco concluda l’articolo mostrando come sempre più persone si impegnino in questi temi, e quindi su come la situazione sia, nonostante tutto, di anno in anno migliore.
Abbiamo spesso parlato di quanto sia largo il divario tra giornalismo italiano e giornalismo anglo-sassone. A conferma di questo, basta dare un’occhiata al reportage interattivo sullo Xinjiang e sul genocidio degli Uiguri pubblicato dal New Yorker. Leggerlo ti insegna che cosa significhi vivere in un paese non libero: le storie delle persone sono raccontate benissimo, ti sembra di vederle davanti a te mentre la loro vita precipita, senza che abbiano fatto nulla di male. É uno dei prodotti giornalistici più belli che io abbia mai letto: vi consiglio di leggerlo dal computer per godere appieno degli aspetti visivi dell’articolo. “Inside Xinjiang’s Prison State” di Ben Mauk.
“It is likely the largest internment of ethnic and religious minorities
since the Second World War.”
Questa settimana ha fatto molto scalpore la storia di Erdogan, Von der Leyen e il divano. L’attenzione mediatica per questa polemica è stata moltissima. Tuttavia, sui rapporti tra UE e Turchia ci sarebbero molte cose da dire e che forse aiuterebbero a dare un contesto più adeguato alla gaffe diplomatica. L’Europa ha dato miliardi di euro alla Turchia per arginare il flusso di profughi provenienti da Oriente. Anche per questo la Turchia è da sei anni la nazione con più profughi al mondo, e questo dà a Erdogan una grande forza contrattuale nei rapporti con l’UE: per esempio, nel 2019 dichiarò “Paesi dell’Unione Europea, se provate a chiamare la nostra operazione un’invasione allora la risposta è semplice: apriremo i nostri confini e vi manderemo 3,6 milioni di rifugiati!”. Questa situazione non è casuale, ma frutto di un progetto politico che prende il nome di “esternalizzazione delle frontiere”, e chi paga di più questa situazione sono ovviamente i profughi. Vi lascio un articolo di approfondimento fatto molto bene.
Zeynep Tufekci è un’importante sociologa turca che insegna negli Stati Uniti. Le sue ricerche si concentrano sul rapporto tra mondo digitale e società. Ha pubblicato un bel pezzo sull’Atlantic in cui espone tre modi in cui la pandemia ha reso migliore il mondo: partendo dalla produzione dei vaccini basati sul mRNA, Tufekci spiega poi come il coronavirus ci abbia costretto finalmente ad apprendere come usare efficientemente la nostra infrastruttura digitale. Infine, la sociologa conclude l’articolo mostrando il vero potenziale dell’ “open science”.
Il saggio consigliato oggi è una delle fonti principali di questo numero. Buona lettura.
Ti è piaciuto questo numero? Dietro ci sono io, Daniele. Studio filosofia a Bologna e gestisco interamente da solo il progetto. Autarkeia vive dell’apprezzamento della community. Vorresti supportare il progetto e valorizzare le decine di ore settimanali che stanno dietro a ogni numero? Ci sono due modi per farlo:
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Paolini è un drammaturgo, regista e scrittore. Ausmerzen è un libro sull’eugenetica e sul ruolo che essa ha avuto nelle pieghe più oscure della Germania nazista. Raccontando uno sterminio sconosciuto, Paolini riesce, attraverso una bella narrazione, a eccedere la testimonianza storica rendendola pulsante davanti agli occhi del lettore.
Sicurezza globale, a cura di Paolo Foradori e Giampiero Giacomello
Quali sono le principali minacce alla sicurezza del sistema politico internazionale contemporaneo? Crisi alimentari, terrorismo e cambiamenti climatici sono solo alcuni dei temi trattati in questo bel volume. Foradori e Giacomello sono due docenti universitari che hanno curato questa antologia di saggi, molto aggiornati e incisivi.
Anche questa settimana abbiamo finito. Grazie di leggermi sempre: per qualsiasi cosa, puoi scrivermi rispondendo a questa mail. Sono molto contento di come sia venuto il numero di questa settimana: se lo hai apprezzato, condividilo sui social! Anche solo una storia su Instagram per me fa la differenza.
Ci risentiamo domenica prossima e buona settimana,
Daniele
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