Ti stai guardando allo specchio nel bagno di un ristorante italiano intorno all'82esima strada. La luce è calda e c’è odore di candeggina. Probabilmente, anzi decisamente, sei da troppo tempo in bagno. Questa luce ti fa grasso e la tua barba è strana. Sei esausto, e i colori della stanza ricordano quelli di una camera da letto. Ti chiedi quanto sia il tempo massimo che si può spendere in bagno prima che la tua assenza si faccia notare e diventi così uno degli indizi di pericolo che si cercano ovunque durante i primi appuntamenti. Qualcuno bussa alla porta: “Wait a second”.
Apri il rubinetto e ti lavi le mani. Sei nel ristorante ormai da un paio d’ore e non sei da solo, sei alticcio. Sei arrivato che pioveva, e per questo hai dovuto comprare il terzo ombrello da quando sei a New York. Non hai voglia di uscire dal bagno. Non ne puoi più di parlare inglese, di sembrare attraente, sveglio e simpatico, in inglese. Apri la porta del bagno e ad aspettare di entrare c’è una signora sulla cinquantina con i capelli tinti di fucsia, tagliati corti. Ti sorride come farebbe tua madre, ma quel sorriso stride con il resto del suo aspetto. Fai esattamente sette passi e sei di nuovo al tavolo. Ti siedi.
La bottiglia di vino mediocre che hai ordinato è già stata bevuta. Un paio di ore prima, hai passato lentamente il dito sulla carta dei vini, come se stessi vagliando le varie scelte possibili. Ne hai poi nominati un paio a caso, con tono deciso, dicendo che quelli non erano male. Alla fine ti sei deciso per un Sauvignon: hai semplicemente proposto la meno costosa. Lei ha detto che ama il Sauvignon, tu di vini non capisci nulla. Quando poi lo hai ordinato la cameriera ti ha trattato male, e come al solito ti sei chiesto e hai chiesto se avevi sbagliato qualcosa nel seguire i rigidi protocolli culturali che vigono nei bar e nei ristoranti americani. Ti è stato detto che probabilmente la cameriera era solo stanca.
Hai davanti una ragazza di un paio di anni più giovane di te. Il tuo inglese è alticcio se sei sobrio, e ubriaco se sei alticcio - infatti la tua parlata traballa. Lei non ha un bel naso, non ha dei brutti occhi. L’hai conosciuta a Greenwich Village in un locale in cui suonavano del jazz dal vivo. Lì, avevi bevuto il Moscow Mule più cattivo della tua vita dopo averlo pagato 21 dollari. Il numero te lo aveva chiesto lei e questo era bastato per convincerti a rivederla. Lavora in finanza e guadagna a 22 anni di più di quello che guadagnerai tu al decimo anno di carriera. La sua voce è una cantilena e ha un accento americano fortissimo, irritante. Ti è venuto mal di testa perchè la musica è troppo alta, per seguire i suoi discorsi devi stare molto concentrato. Indossa una maglietta elegante verde e ha degli orecchini con una forma strana, intrecciata.
Di fronte a lei ci sono ancora le due bruschette che ti ha chiesto di ordinare con il vino. Sono ai pomodori secchi, o qualcosa del genere, e a te i pomodori secchi piacciono. Vorresti prenderle e mangiarle tu, anche se ormai sono gelide. In quel momento ti sta dicendo, con un trasporto forse eccessivo, che anche se lei fatica a superare i 5 piedi, suo fratello è alto più di 6 piedi e 3. Sorridi e dici che that’s crazy e stai per sbloccare il cellulare per cercare su Google il convertitore da piedi a centimetri, ma non fai in tempo che lei ha già cambiato argomento e se vuoi capire tutto quello che sta dicendo non puoi sicuramente donarti il privilegio di fare un’altra cosa mentre parla. Lavora in banca da Chase e si chiama Julia. Viene da una piccola città del New Jersey. Ha le mani piccolissime. Vorresti tornare in bagno.
Ora ti sta parlando di cosa le è piaciuto di più di Roma, perché ha vissuto lì per qualche mese in un college di americani, o qualcosa di simile. Non è la prima volta che senti di americani che studiano a Roma, ti sembra di ricordare anche uno spettacolo di stand-up che ne parlava. Vorresti dirglielo ma in inglese è complicato, e poi sei stanco. Ti manca casa. Julia dice che le piace l’amatriciana. Ogni americano con cui hai a che fare che scopre la tua nazionalità vuole parlarti di cibo. Tu le dici che Roma ha un sacco di problemi e che non ti piace tanto, hai dei brutti ricordi lì. Una voce ti fa notare che sei sembrato davvero triste mentre lo dicevi.
La cameriera a cui sei ancora certo di essere antipatico si avvicina al tavolo. Capisci dal modo con cui si muove verso di voi che mentre passavi un’eternità in bagno Julia ha chiesto il conto. Ed è in quel momento che ti ricordi di tutto quello che ti eri ripromesso di fare e che, ovviamente, non hai fatto. Si potrebbe dire, infatti, che quello stesso pomeriggio avevi fatto una scommessa politica, e che il risultato di quella scommessa stava per venire estratto. Quel pomeriggio, quando hai scelto un locale vicino a casa di Julia, eri perfettamente consapevole che l’Upper East Side ti avrebbe derubato - del resto non solo saresti stato a Manhattan, saresti stato nella Manhattan griffata, di marca. Per questo sapevi già da molte ore che offrire l’intera cena sarebbe stato chiedere un po’ troppo al te stesso del futuro: perchè a pagare infatti sarebbero stati gli euro del prestito che hai chiesto a una banca in Italia per sopravvivere a New York. Soldi che non avevi richiesto esattamente al fine di pagare le bruschette fredde che Julia non ha ancora mangiato.
Il problema del conto era stato analizzato e previsto. Nell’interminabile viaggio da Brooklyn prima sulla D e poi sulla Q, avevi riflettuto intensamente su come indurre in maniera spontanea ed elegante un femminista e liberale 50 e 50. Il modo migliore sarebbe stato probabilmente parlarne prima. A un certo punto della cena, avresti potuto condurre dolcemente la conversazione verso l’argomento, magari parlando di donne e lavoro, tirando fuori le parole gender pay gap come una seducente arma da taglio. Oppure la tua strategia retorica sarebbe potuta iniziare da una richiesta di racconto dei suoi appuntamenti passati, vedendo se Julia avrebbe tirato fuori l’argomento, magari raccontando un imbarazzante episodio al momento di pagare il conto. Da lì avresti potuto dedurre che cosa si aspettasse come comportamento. Oppure, e questa era l’ultima idea che avevi avuto, avresti potuto semplicemente chiederle se riteneva la cavalleria un valore ancora oggi stimabile, o se lo giudicava come null’altro che un relitto del potere patriarcale.
Ma ora che il conto va pagato, la pianificazione si è rivelata profondamente inutile. Ti sei dimenticato di introdurre l’argomento. Ogni volta che ti trovi a un primo appuntamento l’imbarazzo inevitabile di quelle interazioni ti fa dimenticare il mondo esterno, vieni sigillato in quell’incontro innaturale. L’ansia di apparire come una persona decente ti fa vivere l’intera esperienza come una prestazione agonistica. E il tuo passato ti costringe a cercare di piacere a chi hai davanti a tutti i costi. Finisce così che ti fingi interessato alle compatibilità astrologiche, mentre fatichi a guardare chi hai davanti negli occhi. Intanto sudi tanto, sudi decisamente troppo. E ogni volta quelle due ore le percepisci come sei. E quando poi, finalmente, quella tortura finisce, ti rendi conto di non esserti mai chiesto neanche una sola volta se chi hai davanti ti piaccia o meno. E anche questa volta stai apprezzando questo cupo caos emozionale quanto gli spifferi che la notte ti ghiacciano le viscere in quel buco che chiami camera a Sunset Park. Per qualche motivo però, anche questa volta lo hai rifatto, e ti sei ritrovato, di nuovo, in quell’assurdità metafisica e morale che è un primo appuntamento.
Ogni passo della cameriera è come un conto alla rovescia: sta per iniziare il gioco del pollo. Dei tuoi progetti elaborati sottoterra mentre la metropolitana risaliva Manhattan non resta nulla. Meno 4, meno 3, meno 2, meno 1: la vedi appoggiare sul tavolo lo scontrino. Sopra vi è scritta una cifra che è più del doppio di quello che ti aspettavi. Rabbrividisci. Quando alzi la testa però, la cameriera sta già parlando con Julia, che sorridendo le allunga la sua carta di credito, con naturalezza. Una parte di te, che si vergogna e non vuole essere guardata e descritta, è offesa da questa scena. Ma tutte le restanti membra sono felicissime, ed è come se l’alcol ti salisse di nuovo. É la vittoria del progressismo. Allunghi a Julia un paio di banconote stropicciate, la cui somma corrisponde a 10 dollari in più rispetto alla metà del conto. É il tuo modo di dirle che sei comunque un uomo dai saldi principi. Vi alzate.
Fuori sta ancora piovendo. L’Upper East Side ha tre colori: il giallo dei taxi, il verde dei cartelli, il rosso dei palazzi. Le auto che scorrono in strada sembrano tutte pulite, lucide. Vorresti una birra. Senti una voce stridula quasi gridare dietro di te. Ti volti: è la cameriera antipatica. Ti sei scordato, un’altra volta, l’ombrello. Lo apri e attraversate Lexington Avenue, con Julia che ti prende per mano. Camminate per un blocco e risalite Park Avenue verso Nord. Passate davanti a un Dunkin’ Donuts vuoto, con le luci ancora accese. In America è obbligatorio mostrare quante calorie corrispondono a ciò che stai ordinando, e in questo modo hai scoperto un sacco di cose. Le dici che a Staten Island hai visto un drink di Dunkin’ Donuts da 1100 calorie, che aveva il 210 percento della dose consigliata al giorno di zuccheri. Il tuo tono è scandalizzato. Lei ti risponde che Dunkin’ Donuts le piace, ci andava da piccola. All’incrocio dopo si ferma e ti invita a salire.
Sta al al quarto piano di un palazzo grigio, bello. Mentre sali le scale, all’angolo di una rampa Julia ti mostra quasi con fierezza il cadavere di uno scarafaggio grande quanto la tua mano. Dice che è lì abbandonato da 20 giorni. Non ti scomponi. Topi e insetti sono parte dell’esperienza e i topi sei riuscito anche a trovarli carini qualche volta. Entri in casa e ti togli le scarpe. Per terra ci sono una dozzina di sacchetti di cibo d’asporto vuoti. Lavoro troppo, non riesco a cucinare, dice Julia. Ci credi. Ti siedi sulla sedia girevole da dove lei dice di lavorare da casa. Si cambia davanti a te e si mette in pigiama. Ora di birre ne vorresti due.
Ti chiede se sei stato bene stasera. Rispondi certo. Da seduto sei alto come lei in piedi. Ha i calzini di due colori diversi, le chiedi come mai, se stamattina si fosse svegliata tardi. Ti risponde che quando lava i calzini, li butta tutti assieme in una cesta, e non li appaia mai. Mentre realizzi quella frase, senti una tua certezza increparsi. Dura pochi istanti, e poi ti rincuori: no, tu i tuoi calzini li vuoi in paia ordinate. Sarebbe il primo passo verso la fine. Pensi che ci voglia molto coraggio per indossare due calzini diversi ogni mattina. Vorresti dirglielo, che la stimi. Ma lei ti si avvicina, e ti guarda con quello che ti appare come un briciolo di compassione. Probabilmente pensa che sei lento, che sei senza iniziativa. Si avvicina ancora di più, ti bacia. Mentre ti toglie la maglietta, ti prende il panico di aver perso il portafoglio.