C'è nessuno?
Il paradosso di Fermi, il Grande Filtro e la vita nell'universo: pensieri tra filosofia e astrobiologia
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Eccoci qui. Oggi facciamo un viaggio tra le stelle e la filosofia. Ho seguito all’università un corso di astrobiologia che trattava questi temi e che mi ha lasciato molto: più domande che risposte in verità. Proviamo insieme a formulare qualche ipotesi.
“Esistono due possibilità: o siamo soli nell’universo o non lo siamo. Entrambe sono ugualmente terrificanti.”
Arthur Charles Clarke
Le scoperte scientifiche hanno rivoluzionato la dimensione entro cui, come esseri umani, ci collochiamo nella natura. L’universo in cui ci poniamo si è fatto di secolo in secolo sempre più vasto e difficile da comprendere, mentre nel frattempo noi siamo diventati sempre più piccoli e irrilevanti. Tante cose abbiamo scoperto sullo spazio, ma sono molte di più le cose che non abbiamo ancora capito: forse per i nostri limiti cognitivi, forse perché ci vogliono ancora tempo e fatica. Questo però significa guardare il bicchiere mezzo vuoto, e non rendersi conto delle straordinarie potenzialità tecnologiche che abbiamo messo in atto e dell’incredibile raffinatezza dei nostri strumenti matematici che ci hanno permesso di affermare con evidenza e certezza empirica almeno una cosa, tutt’altro che scontata: l’universo è grande, molto grande, talmente grande da mettere in crisi le nostre capacità di astrazione e comprensione.
Questa consapevolezza conduce logicamente alla formulazione di un paradosso, solitamente attribuito a Enrico Fermi, il più celebre fisico italiano del secolo scorso: ed è su questo che ci concentreremo oggi. Si racconta che nel 1950 nella mensa del laboratorio di Los Alamos Fermi stesse discutendo di alieni e di ufo con alcuni suoi colleghi. La conversazione si protrasse su molti argomenti, fino a quando Fermi all’improvviso esclamò:
Dove sono tutti? (Where is everybody?)
Ed è da questa domanda fondamentale che sorge il paradosso di Fermi, formulabile in più modi e di cui noi vedremo una versione. Sfruttiamolo per fare un po’ di logica. Vediamo la prima premessa:
Le osservazioni empiriche e le nostre previsioni matematiche ci permettono di affermare con evidenza che vi è un numero gigantesco di sistemi stellari e pianeti.
Da questa prima premessa possiamo sostenere con forza che sia necessaria la seguente implicazione:
Dato l'enorme numero di stelle e di pianeti nell'universo osservabile (e presumibilmente presenti in quello non osservabile), è naturale pensare che la vita possa essersi sviluppata in un grande numero di pianeti.
Ritenendo vera la prima premessa, ci sembra del tutto ragionevole concludere che
moltissime civiltà extraterrestri evolute sono apparse durante la vita dell'universo.
L’idea che sta alla base di questa argomentazione è che la vita non sia qualcosa di raro, ma qualcosa di comune nell’universo. Dato il numero immenso di pianeti e di stelle e la lunghissima storia cosmologica dell’universo, viene da pensare che la Terra non sia l’unico luogo in cui sia avvenuta l’abiogenesi. Questa parola deriva dal greco e significa letteralmente nascita dal non-vivo, poiché esprime il concetto secondo cui la vita debba essere sorta in qualche modo da ciò che non è vivo (sebbene questo sia, almeno per me, sconvolgente). In questo momento un Rover della Nasa sta cercando segni di vita passata su Marte e ci sono delle probabilità che riesca a trovarle: il fatto che potremmo trovare testimonianze di abiogenesi in quello che è a tutti gli effetti il nostro vicino di casa, sembra pendere a favore di questa idea.
Qual è il problema? Che tutti i nostri dati esplorativi contrastano con la nostra conclusione logica, cioè che moltissime civiltà extraterrestri evolute sono apparse durante la vita dell'universo. Se così fosse infatti, dovremmo essere già stati contattati o, per lo meno, aver ricevuto segnali di vita sotto qualche forma. E quindi di nuovo: Where is everybody?
Se ci sono così tante civiltà evolute, perché non ne abbiamo ancora ricevuto le prove, come trasmissioni radio, sonde o navi spaziali?
Eccolo, il paradosso. Sebbene l’argomentazione logica che abbiamo esposto sopra sembri ineccepibile, non ne possiamo accettare la necessaria conclusione, perché tutti i nostri dati osservativi ci dicono il contrario. Proviamo allora a ragionare su questo problema.
Innanzitutto, è necessario constatare che il paradosso di Fermi assume come presupposto il principio di mediocrità, cioè l’idea che la Terra non abbia nulla di speciale rispetto al resto dell’universo. I sostenitori di questo principio avanzano l’idea che, non solo la vita, ma che l’umanità in generale non sia qualcosa di unico: la vita intelligente sarebbe comune su scala cosmologica.
Ovviamente se negassimo il principio di mediocrità riusciremmo a sciogliere facilmente il paradosso, essendo questo un suo presupposto: si può sostenere infatti il principio di rarità, l’idea opposta a quella espressa precedentemente. Questo secondo principio esprime il concetto per cui i moltissimi concatenamenti di fattori fisico-chimici contingenti che hanno portato la Terra a essere quello che è rendano il nostro pianeta un unicum, o comunque qualcosa di estremamente raro. La conclusione allora è che o siamo del tutto soli (la soluzione più semplice, seppure statisticamente improbabile, al paradosso di Fermi) o la vita complessa è talmente rara da trovarsi a distanze spazio-temporali troppo grandi per essere colmate (questa seconda deduzione è molto controversa, perché sembra assumere entrambi i principi a seconda di quando essi convengano per i propri ragionamenti).
Noi assumeremo il principio di mediocrità. Questo principalmente perchè la gran parte della comunità scientifica considera oggi la vita come “un fenomeno naturale, che si verifica necessariamente ogni qual volta esistano determinate condizioni fisico-chimiche”. Viste allora le dimensioni dell'universo, è del tutto probabile che queste condizioni si verifichino o si siano verificate in molti altri casi. Inoltre l’ipotesi di rarità della Terra mi sembra gravata dal nostro solito vizio antropocentrico, da quell’umana inestirpabile tendenza a percepirsi come qualcosa di speciale e di unico, tendenza che ha specifiche origini storico-culturali e che spesso ha offuscato e ancor oggi offusca il nostro giudicare razionale. Questo però significa che, assumendo il principio di mediocrità, ci ritroviamo nuovamente di fronte al paradosso di Fermi. Come uscirne?
Ed ecco allora entrare in campo il concetto di Grande Filtro: l’idea per cui ci sia qualcosa che blocca lo sviluppo delle civiltà di vita. La vita sarebbe sì comune, ma ci sarebbe qualcosa che blocca la crescita delle civiltà, impedendone uno sviluppo tale da permettere loro di poter comunicare inter-planetariamente. Il Grande Filtro scioglie il paradosso di Fermi: moltissime civiltà extraterrestri evolute sono apparse durante la vita dell'universo, ma il Grande Filtro le blocca sempre prima che esse possano comunicare tra loro.
La grande, e terribile, domanda allora è: il Grande Filtro è dietro o davanti a noi?
Se il Grande Filtro fosse dietro di noi, questo significherebbe che c’è stato un blocco (e su quale questo sia è proprio ciò su cui ci soffermeremo) che come umanità siamo gli unici a essere riusciti a superare nell’universo. E quindi sì, saremmo soli, ma soli in un senso differente da quello del principio di rarità. Se il Grande Filtro fosse invece davanti a noi, allora… beh, siamo spacciati. L’evento che blocca lo sviluppo delle civiltà di vita impedendo loro di comunicare inter-planetariamente ci starebbe aspettando, contento di vederci schiantare e scomparire.
A quel punto non ci sarebbe tanto che possiamo fare. Saremmo solo una delle tante civiltà di vita che si è sviluppata, è cresciuta ed è scomparsa scontrandosi contro il Grande Filtro. Si possono fare delle ipotesi su quale questo blocco potrebbe essere in futuro: per esempio potremmo pensare che ogni volta che una forma di vita sviluppa tecnologie molto sviluppate finisce per distruggersi a suon di armi nucleari; oppure sostenere che ogni volta che una civiltà raggiunge il controllo del proprio pianeta ne consuma le risorse fino a farne crollare l’ecosistema su cui si era costruita; ci si può sbizzarrire.
Tuttavia, la mia idea è che il Grande Filtro sia dietro di noi. Nonostante prima abbia criticato il principio di rarità, ritengo che qualcosa di esso non sia da buttare. Riflettendo sulla storia dell’umanità sulla Terra, notiamo che alcune delle cose che abbiamo elaborato e scoperto sono talmente incredibili da faticare a credere che esse siano avvenute davvero, guardandole con gli occhi consapevoli del XXI secolo. Quindi, anche se è statisticamente probabile che la Terra non sia nulla di speciale su scala cosmologica, l’idea è che ci sarebbero alcune cose davvero speciali che noi umani siamo riusciti a realizzare e che, forse, nessuno nell’Universo era mai riuscito a raggiungere. Proviamo allora a proporre tre Grandi Filtri possibili che noi uomini saremmo i primi ad avere superato.
Il linguaggio
In questo momento sulla Terra vivono dalle 4 alle 100 milioni di specie. Solo noi abbiamo un linguaggio propriamente definibile come tale. Uno dei fattori principali che hanno permesso all’umanità di trovarsi nella situazione in cui si trova ora è la capacità di comunicazione di concetti, ed è proprio il linguaggio astrattivo ad avercelo permesso. L’origine del linguaggio è un tema controverso. Tuttavia, alcune cose possiamo dirle. Se è abbastanza palese che la cooperazione sia ciò che ci ha permesso di dominare il nostro pianeta, ci si accorge velocemente che questa non è una nostra capacità esclusiva. Moltissimi animali cooperano, e spesso in maniera stupefacente: branchi di lupi e di iene cacciano con coordinazione straordinaria, formiche e api vivono in sistemi talmente complessi che ancora oggi non li abbiamo compresi fino in fondo; e questi sono solo alcuni degli esempi possibili di cooperazioni interne a determinate specie non umane. Ciononostante noi abbiamo qualcosa in più: e questo qualcosa è proprio il linguaggio. Esso ha portato la nostra comunicazione a una raffinatezza e precisione inimmaginabile. Comunicare attraverso le parole ci ha permesso e ci permette di sviluppare organizzazioni sociali straordinariamente complesse e efficienti, di dividerci i compiti con precisione e efficacia e di elaborare strutture e strategie di sopravvivenza adattabili a ogni contesto.
Inoltre, sul piano filosofico, nell’ultimo secolo il linguaggio è diventato uno dei cardini principali su cui ruota la riflessione contemporanea. Alcuni pensatori hanno sostenuto che meccanismi di pensiero complesso non possano svilupparsi senza linguaggio: e che quindi il linguaggio sia condizione necessaria al pensiero. Se pensiamo, pensiamo all’interno del linguaggio, e, in un certo senso, grazie al linguaggio stesso. Come diceva Wittgenstein: “I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”. Sebbene questa tesi possa essere criticata, è difficile attaccare la constatazione che strumenti concettuali estremamente complessi come quelli su cui facciamo affidamento oggi sarebbero stati impossibili senza le nostre raffinate capacità di linguaggio.
Se fossimo stati l’unica specie nell’universo a sviluppare un linguaggio capace di livelli del genere di astrazione? Se la vita fosse molto comune, ma nessuna specie fosse mai stata in grado di sviluppare qualcosa come il linguaggio umano?
La matematica
Ecco la regina delle scienze. Nell’antichità la matematica era considerata una scienza ideale: fornisce conoscenza chiara, evidente e dimostrabile, non lascia spazio a punti di vista privati e a eterni dibattiti: due più due fa sempre quattro. Proprio per questo gli antichi erano convinti che essa fosse una pura idealizzazione che non avesse nulla a che fare con il mondo impreciso e caotico di quaggiù: la matematica veniva considerata la scienza astratta per eccellenza.
Ma poi arrivò la rivoluzione scientifica, e con essa la matematizzazione della realtà. La matematica iniziò a essere applicata a tutte le scienze, e la sua applicazione, in particolare nella fisica, ha rivoluzionato il mondo: ha indirettamente generato la tecnologia, l’informatica, l’ingegneria. Questo successo straordinario è ciò che aveva portato Galileo a credere che “il mondo fosse un libro scritto in caratteri matematici” dalla divinità. Oggi questa non può ovviamente essere una tesi accettabile scientificamente: tuttavia, l’assurda efficacia della matematica nelle scienze naturali è un dato di fatto.
Allora, viene da chiedersi: se riteniamo che la matematica sia una costruzione totalmente umana e che quindi non sia un evento necessario che essa venisse sviluppata, non si potrebbe pensare che siamo gli unici ad aver costruito un linguaggio astratto estremamente rigoroso di questo tipo che funziona dannatamente bene nella descrizione e nella previsione dei fenomeni naturali?
E se la matematica fosse il fortunato colpo di genio che ci ha permesso di arrivare dove nessuno nell’universo si era mai spinto?
Il capitalismo
La mia ultima proposta, e anche la più audace, è che il Grande Filtro sia il capitalismo, inteso come sistema socio-economico basato sul libero scambio e l’iniziativa privata. Ne parlerò in maniera pragmatica e non ideologica. Come l’antropologia ci insegna, le strutture socio-economiche che si sono formate nelle varie culture in giro per la Terra, anche se con alcuni punti in comune, variano molto. Il capitalismo è invece quel sistema che sta omogenizzando il mondo sotto questo punto di vista, permettendo che esso si globalizzi: gli scambi culturali e commerciali tra luoghi geograficamente lontani non sono mai stati così intensi.
Il sistema socio-economico in cui viviamo ha portato l’umanità a sviluppare un’efficienza tecnico-produttiva inimmaginabile. La matita con cui prendo appunti su un libro è un prodotto estremamente complesso i cui componenti provengono da tre continenti differenti: io la pago in negozio 70 centesimi. Senza capitalismo non saremmo andati sulla Luna, non avremmo i vaccini di massa e sistemi di comunicazione digitali che mi permettono di inviare una foto del mio giardino a un mio amico australiano in pochi decimi di secondo.
Tuttavia, questo discorso è scivoloso: può essere capovolto. E se il capitalismo non fosse il Grande Filtro dietro di noi, ma fosse quello davanti? Se fosse proprio lo sviluppo di sistemi socio-economici di questo livello di efficienza a portare le civiltà di vita a scomparire? A quel punto, il capitalismo non sarebbe più ciò che ci rende unici, ma la nostra spada di Damocle.
Ecco le mie tre proposte. Voi cosa ne pensate? Il Grande Filtro è dietro o davanti a noi? E in cosa potrebbe consistere? Come pensate sia possibile sciogliere il paradosso di Fermi? Scrivetemi rispondendo direttamente a questa mail, sono molto curioso di conoscere le vostre idee.
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Ora i consigli della settimana.
Il numero di oggi è stato ispirato da quello che penso sia il mio video preferito. Pochi se lo ricorderanno, ma lo avevo consigliato nel primo numero in assoluto di Autarkeia: “Why alien life would be our doom?”, su Kurzgesagt.
Vi sentite come se foste totalmente privi di interessi? Privi di ogni voglia di fare qualcosa? Non ricordate l’ultima volta che avete avuto una sensazione stimolante? Beh, non siete soli. Adam Grant, uno dei più autorevoli psicologi americani, ha scritto un articolo riguardo le conseguenze psicologiche di lungo periodo della pandemia: ha parlato di illanguidimento, un senso di vuoto e stagnazione, “the neglected middle child of mental health”, riassunto da Grant in “the blah you are feeling”. Leggerlo fa stare bene: la prossima volta che vi chiederanno come state, al posto che rispondere con “tutto ok”, potrete dire “sono illanguidito”.
Un mio coetaneo, Vincenzo Grasso, ha scritto su Il Tascabile un catalogo dei tentativi falliti di comunicazione tra specie: direi che casca a pennello con la riflessione di oggi. É un ottimo articolo, ve lo consiglio.
La situazione in India a causa del coronavirus è disperata. Il Times ha scritto un bel pezzo di approfondimento sul perché le cose stiano andando così male: le persone muoiono mentre attendono cure mediche, le riserve di ossigeno sono terminate, gli ospedali sono talmente pieni da essere vicini al collasso, le cremazioni di massa sono all’ordine del giorno. Gli esperti ci dicono che, nonostante i numeri ufficiali su contagi e morti siano già impressionanti, i numeri reali vadano dal doppio a cinque volte quelli riportati.
In un arco di 2,5 milioni di anni è stato stimato che siano vissuti sulla Terra 2,5 miliardi di T-Rex, probabilmente il più famoso tra i dinosauri. Questa settimana è uscito uno studio molto interessante a riguardo, soprattutto dal punto di vista del metodo. Come hanno fatto a calcolare la popolazione storica di una specie estinta?
Books, as always.
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Hamsun è uno scrittore controverso: la sua vita è contraddistinta da scelte politiche che non possono lasciarci indifferenti. Tuttavia, credo che questo non infici la bellezza delle pagine uscite dalla sua penna. Ha vinto il premio Nobel per la letteratura nel 1920.
Armi, acciaio e malattie, di Jared Diamond
C’è una leggenda secondo cui in realtà Jared Diamond non esista, ma sia un gruppo di persone: non può essere possibile che una persona sola possieda competenze intellettuali così estese e che sappia comunicarle in maniera così straordinaria. E invece Jared Diamond esiste, è un uomo in carne e ossa, ed è uno degli intellettuali più importanti degli ultimi 30 anni.
“Armi, acciaio e malattie” parte da una bellissima domanda: perché siamo stati noi europei a invadere l’America e il mondo, e non è invece accaduto il contrario? La complessa e articolata risposta che Diamond dà è un’avventura incredibile nelle pieghe della storia dell’umanità: tra agricoltura e zoologia, tra filosofia, sociologia e antropologia Diamond erige un monumento intellettuale contro l’idea di superiorità razziale, facendo emergere il ruolo fondamentale che gli elementi contingenti al di fuori del nostro controllo hanno avuto sulla storia umana.
E anche questa settimana abbiamo finito. Se hai apprezzato questo numero, condividilo! Anche solo una storia su Instagram, per me vale tantissimo; taggami qui!
A domenica prossima,
Daniele
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