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Eccoci! Grazie delle belle parole che mi avete scritto, sono felice che l’esperimento sia piaciuto a molti di voi. Grazie anche a coloro che si sono interessati a lavorare con me, mi fa moltissimo piacere. Oggi ritorniamo con un numero più classico: tra Dostoevskij (mi è stato detto che la pronuncia corretta è Dastajevski se ve la volete tirare) e Agostino, parliamo di gerarchie e ovvietà.
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Iniziamo.
Il libro del destino è sigillato alla nostra vista.
Voltaire
L’essenza della riflessione di oggi potrebbe essere riassunta in pochi secondi attraverso qualche frase banale, usando qualche clichè letto nelle home di Instagram. Tuttavia, come si tende a imparare studiando, quelle che appaiono a una prima occhiata come ovvie banalità spesso di ovvio hanno solo la superficie. E già solo per questo motivo varrebbe la pena interrogarsi su ciò che diamo per scontato e che intendiamo come banalmente ovvio nella nostra vita di tutti i giorni. Ma oltre a questo, che già si presenta a noi come ottima motivazione, si possono cercare anche ragioni più profonde. Sono convinto che uno dei limiti principali della natura umana sia la difficoltà nel sentire davvero ciò che si crede di sapere, nel vestire di concretezza frasi e concetti che crediamo di avere assimilato, ma che in realtà non abbiamo mai preso sul serio. E se penso che questo sia valido nel generale, è particolarmente vero in relazione a cliché, frasi fatte e proverbi di ogni sorta. L’immagine che sorge in me a riguardo è quella di un meccanismo che necessita di essere attivato, proprio come se in noi dovesse scattare qualcosa, come se necessitassimo di eventi esterni contingenti che ci forzino a fare determinati pensieri che diano finalmente realtà a qualcosa che era sì già in noi come concetto potenzialmente concreto, ma che non aveva la minima realtà. E in questo senso, investigare ovvietà può aiutare a fare scattare quella leva, ad accendere il meccanismo, così che si provi quella vertigine profondamente piacevole che si accompagna al sentire i concetti vivi, così concreti che finalmente ci sembra di poterli toccare. Ed è con questo spirito che oggi parleremo di che cosa per me significhi perdere di vista ciò che conta davvero.
Come mi piace fare, prenderemo il discorso apparentemente da lontano: a partire da alcune idee di Agostino di Ippona (354-430). Probabilmente il teologo più celebre della storia dell’umanità, le dottrine agostiniane rivoluzionarono radicalmente il modo con cui eravamo abituati a pensare Dio, il bene, l’universo. Le sue parole segnarono talmente il contesto culturale in cui venivano espresse da rendere i suoi libri, col passare dei decenni, veri e propri dogmi autoritari. Nel vastissimo insieme di opere da lui scritte, ci concentreremo brevemente su uno dei problemi filosofici per eccellenza, che tormenta l’umanità sin dalla sua fanciullezza e che ha tormentato per decenni Agostino stesso: il male.
Come è facile immaginare, non esiste una dottrina agostiniana riguardo il male. Agostino cambiò più volte idee a riguardo nel corso della sua vita, anche contraddicendosi, ma queste sono cose tecniche di poco interesse per voi. Anche perché, come ben sapete, questo luogo digitale non ha come fine il fare storia del pensiero o simili. Cosa farò allora? Prenderò una di queste teorie per piegarla ai miei fini. Sia perché questo tende ad arricchire una riflessione, aumentandone la forza, ma, anche e soprattutto, perché è a partire da Agostino che questa riflessione è originariamente sorta. E in fondo che cos’è lo studio se non la ricerca di un terreno fertile su cui fare crescere la propria pianta?
Mi concentrerò sulla risposta a un problema morale interno alla più generale controversia teorica del male: il perchè si faccia il male. Dal punto di vista agostiniano il problema sorge necessariamente da una contraddizione. In un mondo creato da un Dio onnipotente e immensamente buono, come possono esistere agenti, creati dalla divinità stessa, che fanno volontariamente il male?
La risposta agostiniana può essere riassunta in questo modo. Quando scelgono il male, ciò che gli esseri umani fanno non è sceglierlo deliberatamente, ma confondere le gerarchie morali. In questa prospettiva, uomini e donne si confondono su ciò che conta e su ciò che non conta nell’ordine etico delle cose, finendo per fare scelte ispirate a valori che si ritengono molto più importanti di quello che sono realmente, disegnando una gerarchia sbagliata rispetto a quella divina e oggettiva. Provate a immaginare una sorta di classifica assolutamente valida dei beni (che ha il suo valore di verità proprio nella garanzia di Dio), e poi immaginate che, nel momento in cui agite ispirati da determinati motivi e valori, vi sbagliate nel valutare ciò che conta di più e ciò che conta di meno. Ed è così che l’ingenua confusione nel porre in ordine questa classifica conduce a fare il male.
In breve, fare il male significa confondere la gerarchia dei beni.
Ora, proviamo ad estrarre lo scheletro concettuale di questo ragionamento, escludendo tutte le altisonanti pretese filosofiche e teologiche.
Per quello che interessa a noi, confondere le gerarchie significa sbagliarsi nel definire ciò che conta di più non in relazione a una divinità (e quindi in assoluto) ma in relazione a noi stessi. Probabilmente per formazione culturale, cresciamo costruendoci obiettivi e ambizioni, e investiamo le nostre energie e sforzi per raggiungere, spesso a tutti i costi, quegli obiettivi. Il passo successivo all’ambizione è l’azione, e cresciamo autoconvincendoci che il vero motore di quell’azione sia proprio l’ambizione stessa. Ricercando i propri obiettivi ci si accorge presto che l’ambizione ha un prezzo e necessita di sacrifici. Ciononostante, nella furiosa ricerca di realizzare ciò che si crede di volere ottenere, ci riteniamo disposti a sacrificare qualsiasi cosa per raggiungere quegli obiettivi. E allora corriamo, senza guardarci indietro.
Tenendo in una mano questa riflessione, facciamo un passo di lato. Delitto e Castigo è il libro che mi ha cambiato la vita. In esso, Dostoevskij dipinge un personaggio che non verrà mai dimenticato nella storia della letteratura umana: Raskol’nikov. Raskol’nikov è uno studente fuori sede a San Pietroburgo, povero e disperato. I soldi non sono mai abbastanza per sopravvivere e studiare, e lui ha enormi ambizioni. É convinto che se solo avesse i soldi il mondo comprenderebbe davvero il suo valore. Se solo avesse le risorse, potrebbe realizzare davvero il suo potenziale e entrare nel gruppo dei grandi uomini, quelli che non verranno mai dimenticati, i Napoleoni della storia. Ed è per questo che uccide una donna, vecchia e malvagia, rubandole soldi e gioielli. Ma, purtroppo, da quel momento le cose iniziano a precipitare. Raskol’nikov crolla in un delirio: tra dilemmi morali e psicopatie, finisce praticamente per autodenunciarsi.
Quel gesto compiuto da Raskol’nikov, l’omicidio, è una deroga rispetto ai suoi valori morali che egli credeva legittimamente giustificata dalle sue ambizioni, ma che si rivela in realtà portatrice di un enorme prezzo da pagare. E quel prezzo è lo svelamento di un inganno. Dove sta l’errore di Raskol’nikov? Nel confondere le gerarchie. Nel suo credere che gli obiettivi, il successo e l’ambizione fossero ciò di cui aveva esclusivamente bisogno, e che fosse disposto per essi a pagare qualsiasi prezzo, a permettersi qualsiasi deroga. E questo significa ingannarsi. Tuttavia, Delitto e Castigo si conclude con la pace interiore di Raskol’nikov. In prigione, egli trova un senso. E sapete dove trova quel senso? Nell’amore.
Come insegnano Raskol’nikov e Dostoevskij, confondere le gerarchie può comportare cadute molto dolorose. Tra esse, la più dolorosa è probabilmente quella causata forzatamente dal mondo esterno: una perdita, una separazione, un trasferimento; quando qualcosa o qualcuno non può più essere dato per scontato perché non più presente. Quando questo accade, la gerarchia falsa che ci eravamo creati crolla dalle fondamenta su se stessa. E a quel punto ci si rende conto che il vero motore delle nostre azioni era tutt’altro, che l’ambizione era qualcosa di secondario, che gli obiettivi che ci eravamo posti non si meritavano la cima delle nostre gerarchie, che c'era sempre stato un insieme di persone e passioni che erano sempre state le uniche cose che contavano davvero. Solo che ce lo eravamo dimenticati, perché siamo fatti così.
Come evitare queste cadute? Come evitare di iniziare a dare per scontato ciò che in realtà ci tiene a galla? Provando a fare ordine. Forzandosi alla riflessione, smettendo di correre per qualche istante così da potersi guardare razionalmente dentro e intorno. Ognuno sa le domande che è giusto porsi. Le mie sono queste: in che cosa mi sto ingannando? Che cosa mi muove? Che cosa conta davvero per me?
Riflessione conclusa: non provate a dirmi che vi ho spoilerato Delitto e Castigo! Sui libri che hanno quasi due secoli la parola spoiler non può essere applicata. In più, il valore di quel capolavoro non sta ovviamente nella trama.
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Ora i consigli. Questa settiamana ho letto un sacco di cose interessanti.
Che cos’è la biodiversità? E perché preservarla dovrebbe essere per tutti un dovere etico e politico? Simone Pollo è Professore Associato di filosofia morale alla Sapienza e ha scritto un bellissimo articolo a riguardo con la biologa Lisa Signorile.
Chiusi dentro le nostre case, nelle nostre città, abbiamo una esperienza diretta estremamente limitata della varietà che ci circonda, e molti non riescono neanche a immaginare, per esempio, la moltitudine di coleotteri al mondo, almeno 400.000 specie, che da sole coprirebbero tutte le pareti di un grande museo.
Personalmente, credo che il concetto di meraviglia sia uno dei più interessanti su cui fare considerazioni. Avevo scritto una riflessione a riguardo qui, in relazione alla religione. Problema antico, già Platone e Aristotele in modalità diverse relazionavano la nascita della filosofia (in questo contesto forse sarebbe più corretto dire l’atteggiamento teoretico) alla meraviglia. Ma oggi come provare più meraviglia nella quotidianità? Su Aeon è uscito un pezzo che parla dello stupore concentrandosi sul contemporaneo. Scritto da una ex-neuroscienziata, ecco una serie di consigli profondi su come provare maggiore wow nella quotidianità.
Tutti avrete sentito parlare di OnlyFans almeno una volta. Fenomeno globale, viene generalmente etichettato come sito di pornografia a pagamento. Tuttavia, non si può credere che l’incredibile successo di questo sito si limiti a questo, altrimenti non si troverebbe dove si trova. Che cos’ha in più OnlyFans? Se volete approfondire, vi lascio un gran pezzo del Times: OnlyFans isn’t just porn :).
Marcello Ascani è uno dei migliori youtuber italiani nel suo campo. Poco tempo fa, andando controcorrente, ha pubblicato un video sul lato oscuro di Dubai, rischiando e facendo domande in loco. Credo meriti stima per questo, e il video vale davvero la pena. Ciò che più mi impressiona è il terrore delle persone che non hanno il coraggio di parlare nemmeno se oscurati in volto.
Questa settimana ho letto un paper sulla crescita economica pubblicato su uno dei migliori siti al mondo, Our world in data. Il sito è un contenitore estremamente ricco di dati, grafici e evidenze fattuali. Considerato uno dei più affidabili al mondo, anche a causa della sua collaborazione con le migliori università del mondo, è uno di quei luoghi digitali in cui ci si perde per ore chiedendosi come si è finiti a leggere della stima della fame nel mondo nel Medio Evo.
Ti è piaciuto questo numero? Dietro ci sono io, Daniele. Studio filosofia a Bologna (anche se ora mi trovo a Warwick, in UK) e gestisco da solo il progetto. Autarkeia vive dell’apprezzamento della community. Vorresti supportare il progetto e valorizzare le decine di ore settimanali che stanno dietro a ogni numero? Ci sono due modi per farlo:
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Il terremoto di Lisbona, di Voltaire.
Nel 1755 a Lisbona un potente terremoto rase al suolo la città uccidendo tantissime persone. Quell’evento suscitò la nascita di un affascinante dibattito tra gli intellettuali del tempo: come può Dio permettere che accadano eventi simili? Come possono dei disastri naturali uccidere migliaia di innocenti che non hanno alcuna colpa morale?
Anche Voltaire partecipò al dibattito con questo celebre poema, che è una chicca. Questa edizione è ben fatta e contiene anche la famosa lettera critica di risposta scritta di Rousseau.
L’ordine del tempo, di Carlo Rovelli.
Rovelli non necessita di presentazioni. Uno degli intellettuali più famosi del bel paese, ha scritto tra i tanti anche questo agile libro sul tempo muovendosi tra filosofia e fisica. É scorrevole, scritto in maniera chiara e si legge in un pomeriggio. Io non adoro la prosa di Rovelli perché a volte mi sembra che tratti il lettore come un’idiota. Tuttavia, è un’ottima introduzione al tema.
Abbiamo finito. Ci sentiamo fra due settimane! Se avete apprezzato il numero… basta non lo dico più. Abbraccio.
Buon lavoro e buono studio,
Daniele
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