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Eccoci qui. Come ho spiegato sulla nostra pagina Instagram, il numero di oggi doveva essere diverso. Tuttavia, quello che sta succedendo in Europa rende difficile pensare e parlare di altro. Quindi la riflessione parlerà in qualche modo della guerra, anche se la guerra non verrà mai nominata. Parleremo di presente e illusioni: ma a modo nostro. In un certo senso questo numero può essere considerato una continuazione di quello precedente.
A differenza del solito, la riflessione sarà più breve e i consigli saranno di più. I consigli di lettura sono di Giorgio.
Volevamo ringraziarvi, perché l’open rate di questa seconda stagione (la percentuale di persone che apre la newsletter dopo essersi iscritta) è davvero incredibile. E questo non può che renderci felici.
Cominciamo.
Il Time è una delle riviste più importanti al mondo. Nella nuova copertina dedicata alla guerra in Ucraina a dominare la copertina vi è un titolo potente:
Il ritorno della storia.
Il significato è chiaro. Dalla seconda guerra mondiale a oggi non vi sono mai stati eventi geopolitici di questa rilevanza e gravità. I paralleli storici tra gli eventi degli ultimi 10 giorni e gli anni Quaranta del Novecento sono evidenti e facilmente rintracciabili. Tuttavia, nonostante le buone intenzioni e il significato relativamente univoco di questo titolo, questa retorica spesso nasconde un errore di percezione diffuso riguardo l’idea che abbiamo del tempo. Proviamo a ragionarci sopra, usando la guerra presente come mezzo di analisi. Oggi parliamo di psicologia del tempo: le nostre riflessioni saranno quindi concentrate non su che cosa sia il tempo in sé, ma sulla percezione che noi ne abbiamo.
Il presente è definibile come un momento privilegiato della nostra esistenza, e questo perché viviamo esclusivamente nel presente. Passato e futuro sono (o sembrano essere) immagini mentali, ricordi che abbiamo vissuto o proiezioni che vivremo, mentre il presente è sempre qui e ora insieme a noi. Inafferrabile e difficilmente definibile, esso si rivela non cristallizzabile: si scioglie nel passato e diventa futuro nel momento stesso in cui lo pensiamo. Per quanto possiamo sforzarci intellettualmente per rinchiuderlo in una gabbia concettuale, il presente ci sfugge costantemente di mano. O, perlomeno, questa è la percezione che noi ne abbiamo. Tema dal fascino indiscutibile, potete facilmente immaginare la quantità di pagine e parole che sono state spese nei millenni su questi temi. Ma questo non ci interessa.
Proviamo a riflettere in modo critico su questa concezione del presente, provando a far emergere le illusioni che l’abitudine a vivere e pensare il tempo in questo modo ci conduce ad costruire, soprattutto quando pensiamo e riflettiamo sugli eventi del passato. Una cosa è certa, non possiamo vivere se non nel presente: anche se dovessimo riuscire a viaggiare nel tempo, vivremmo il passato in quello che, dal nostro punto di vista, rimarrebbe un presente. Ed è per questo che lo statuto privilegiato del presente è uno stato mentale con cui sin dalla nascita impariamo a convivere. Ma non solo: l’uomo, in quanto animale razionale (cioè dotato di ragione), riesce a superare e a eccedere questa prospettiva, prevedendo e ricordando eventi differenti da quelli del qui e dell’ora. Ciononostante, per quanto possiamo sentirci esseri viventi estremamente unici e intelligenti, questo non ci preclude dall’ingannarci costantemente riguardo il tempo e alla percezione che ne abbiamo. E questo a causa di una viziosa commistione tra una fittizia percezione di eccezionalità del proprio presente e una visione teleologica a posteriori della storia. Eccoli, lo so che vi mancavano: i paroloni della filosofia. Se non avete chiuso il numero dopo questa frase, proviamo a decostruirla e a capirne il significato in maniera comprensibile a tutti come siamo abituati a fare qui.
Partiamo dalla prima parte del periodo. Per quanto possiamo convincerci del contrario, la nostra esistenza è inevitabilmente ego-centrica, nel senso che una vita umana non può che essere vissuta da un io. E di conseguenza l’io sarà il centro, potremmo dire di rotazione, di quell’esistenza. E questo vale per tutti. Questo ineludibile egocentrismo ha tante conseguenze e spesso ci porta a costruire all’interno della nostra immagine della realtà connessioni e movimenti inesistenti. Ci sarebbero tantissime cose da dire a riguardo, se vi interessa possiamo parlarne in un numero futuro. Sta di fatto che, nel riferire il mondo al nostro io, nel far ruotare l’intero universo attorno alla nostra prospettiva, fatichiamo a essere lucidi e razionali nell’analizzare i rapporti intersoggettivi (cioè tra persone che, anch’esse, sono soggetti umani dotati di coscienza, esistenti nella nostra stessa situazione).
Questa autopercezione distorta del proprio ruolo e della propria posizione nell’ordine delle cose ci porta a sentirci eccezionali - nel senso letterale della parola: ci sentiamo un’eccezione rispetto agli altri - anche se, ovviamente, questa è soltanto un’illusione ottica. Il modo con cui il mio io vive il mondo è lo stesso con cui lo vivono gli altri io. Ma l’abitudine a essere, per così dire, solamente in se stessi, porta a dimenticarselo. Proviamo ora a trasportare su un piano collettivo questa sensazione di eccezionalità. Il pianeta è abitato da persone che si sentono l’eccezione, e nel sentirsi individualmente l’eccezione, finiscono per sentirsi l’eccezione anche collettivamente. E ritorniamo così a parlare del tempo.
Abbiamo detto che il presente è il momento privilegiato nel nostro percepire il tempo in quanto è il momento in cui effettivamente viviamo. Inoltre, abbiamo spiegato perché l’esistenze umane si rivelino inevitabilmente, per motivi metafisici strutturali, egocentriche. E a che cosa portano queste considerazioni? Al fatto che, da bravi esseri umani, finiamo per considerare il nostro presente in cui vivono i nostri io attuali come l’eccezione. Sarà ora più facile comprendere la prima parte del difficile periodo di prima: l’illusione ottica sta nel costruire una fittizia percezione di eccezionalità del proprio presente rispetto a quelli degli altri. E così si finisce per considerare il proprio presente come diverso e privilegiato rispetto a quello degli altri soggetti per finire, sul piano collettivo, a confondere il modo di essere dei soggetti passati in generale. Mentre, come è abbastanza sicuro affermare, la psicologia e la percezione del tempo umana è stata sempre la stessa, a prescindere dai secoli.
Passiamo ora alla seconda parte del nostro periodo. Quando studiamo la storia, analizziamo il passato inevitabilmente consapevoli di quello che accadrà dopo. Dalla nostra prospettiva, sappiamo quali saranno le conseguenze di scelte e azioni. E anche qui, questo modo, forse necessario, di guardare al passato crea illusioni ottiche. Di nuovo ci è utile il concetto di teleologia di cui abbiamo parlato due settimane fa. Quando guardiamo la storia tendiamo a costruire a posteriori (quindi dalla prospettiva di chi che vede le cose dopo che sono già accadute) collegamenti e connessioni causali tra gli eventi, creando teleologie (scopi e disegni finali) ingiustificate. Un celebre esempio che ridicolizza questo tipo di fallacia (che non è necessariamente legata alla prospettiva storica che stiamo analizzando noi) è di Voltaire: potremmo dire che il naso è fatto come è fatto perché si portino su di esso gli occhiali. Ovviamente non è così. A posteriori ci sembra che il naso sia perfetto per appoggiarci gli occhiali, ma siamo noi ad avere costruito gli occhiali per farceli stare sopra, il naso non ha come fine l’essere l’appoggio degli occhiali. Analogamente, quando guardiamo alla storia tendiamo a costruire disegni di scopi a partire dalla nostra semi-onniscienza rispetto ai fatti passati, influenzati dalla prospettiva di chi li guarda dopo che essi sono accaduti.
E ora possiamo tirare le fila. Gli uomini del passato vivevano il proprio presente esattamente come noi viviamo il nostro, per quanto l’ego-centrismo delle nostre esistenze temporali ci confonda a riguardo. Quando veniamo travolti da avvenimenti gravi che non ci saremmo aspettati, ci sentiamo in mare aperto. Senza punti di riferimento, iniziamo a tracciare similitudini e parallelismi con eventi passati, alla ricerca di uno schema, di un senso. Ed eccoci che finiamo per tracciare disegni inesistenti, teleologie ingiustificate. Non esiste alcun ritorno della storia. In senso proprio, l’espressione è insensata, per quanto essa sia in buona fede. In tutto quello che sta accadendo ci sono uomini e donne che fanno scelte, sofferenze e coscienze annichilite, esistenze rovinate da decisioni crudeli. E tutto questo succede nel privilegiato presente, in quello stesso privilegiato presente che veniva vissuto in passato. E questo vale per il secolo scorso come per il Medioevo. Per quanto la retorica per cui gli umani non cambiano mai e tendono a ripercorrere gli stessi sentieri abbia un fondo di verità, questo non può sfociare nel tracciare teleologie ingiustificate che annullano il presente degli uomini passati.
Come abbiamo detto prima, la razionalità è ciò che ci contraddistingue in quanto esseri umani. E soprattutto nei momenti di paura e incertezza, la razionalità deve guidare le nostre analisi del mondo. E guardare davvero agli uomini del passato è uno dei modi migliori per capire ciò che sta accadendo: tentando di evitare le trappole concettuali in cui rischiamo di cadere.
Riflessione conclusa. Grazie per tutti i complimenti che ci avete scritto riguardo al numero precedente a questo! Se vuoi aiutarci a diffondere il progetto, clicca il bottone.
Ora i consigli. In queste due settimane ho letto molto materiale di qualità, sia sulla figura di Putin che sulla storia recente dell’Ucraina.
Le indifendibili azioni del wanna-be Zar Vladimir hanno suscitato reazioni estreme e preoccupate nelle opinioni pubbliche. Il Guardian arriva a chiedersi se Putin abbia ancora un affidabile “senso della realtà”. Come spesso si dice, il potere illude, confonde e distrugge chi lo ha. Questa ebbrezza del potere porta frequentemente all’autodistruzione, ma il problema sta nel fatto che, nell’uccidersi, chi ha il potere sparge sangue nel suo delirio masochista. In Putin’s sense of reality, l’autocrate viene descritto da varie prospettive a lui vicine che cercano di mostrare la sua deriva verso una mentalità ancora più dispotica rispetto al passato.
Oltre alla preoccupazione riguardo la sua salute mentale, spaventano le stimate seimila testate nucleari sotto i comandi di Putin. La minaccia nucleare nelle mani di dittatori rende importante, più che in passato, concentrarsi sulla psicologia dei leader che controllano un potenziale distruttivo così spaventoso. Il Washington Post dipinge così Putin: “sta invecchiando nell’isolamento, più potente di quanto fosse mai stato, sull’orlo di scatenare una possibile guerra catastrofica”. Nonno di 69 anni, nei suoi deliri di onnipotenza Putin riflette su quale voglia che sia la sua eredità storica. Come confermato da una giornalista citata nel pezzo, “he is already living history”, si sente di potere fare la storia.
Come Europei, è la prima volta dopo la prima guerra mondiale che ci sentiamo in guerra. Sergio Benvenuto, intellettuale che stimo, ha scritto un pezzo controverso che susciterà dibattito per la sua schiettezza. Siamo pronti ad accettare il prezzo di scendere davvero nei combattimenti? Le azioni di Putin legittimano azioni contro il popolo russo? Per quanto discutibile, l’argomento di Benvenuto solleva dilemmi morali su cui è stimolante riflettere.
“La mancata reazione all’occupazione della Crimea ha convinto Putin che la debolezza dell’Occidente era ormai un dato storico ineliminabile, accentuato ancor più dal precipitoso ritiro dall’Afghanistan”. Marcello Flores è uno dei dei più importanti storici italiani. In questo pezzo per Il Mulino riflette sulle responsabilità dell’Occidente. L’idea è che il referente ideologico di Putin non sia quello sovietico, ma l’imperialismo zarista: e che questo sia chiaro da anni. Di conseguenza, la Nato avrebbe dovuto agire di conseguenza. Un articolo ragionevole che non vuole distorcere la realtà per difendere l’indifendibile.
Il presidente dell’Ucraina è un personaggio bizzarro. Vincitore della versione ucraina di Ballando con le stelle e personaggio principale in una serie tv comica prima di scendere in politica, era considerato dall’opinione pubblica come un leader populista. Tuttavia, arrivata la guerra, Zelensky si è rivelato politico dal coraggio e dal carisma notevole. Rimasto a Kiev con i principali membri del governo, i suoi videomessaggi hanno fatto il giro del mondo consacrandolo in qualche modo come figura eroica del conflitto. Qui un pezzo per approfondire.
Ultimo consiglio: perché Putin è ossessionato dall’Ucraina? Eugenio Cau ha provato a ricostruire i motivi profondi del motivo per cui Putin abbia questa mania per il suo vicino geografico. Cosa intende Putin con disintegrazione della Russia storica? Quali sono le fallacie con cui giustifica le sue pretese?
Ti è piaciuto questo numero? Dietro ci sono io, Daniele. Studio filosofia a Bologna (anche se ora mi trovo a Warwick, in UK) e gestisco con Giorgio il progetto. Autarkeia vive dell’apprezzamento della community. Vorresti supportare il progetto e valorizzare le decine di ore settimanali che stanno dietro a ogni numero? Ci sono due modi per farlo:
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Flatlandia, di Edwin A. Abbott
Scritto in Inghilterra alla fine dell’800, Flatlandia è un romanzo fantastico, satira politica della società vittoriana. In un mondo a due dimensioni abitato da figure geometriche suddivise in rigide caste, il protagonista, un quadrato, visita lo spazio tridimensionale. La sua concezione della realtà viene stravolta ma, tornato a Flatland, non riesce a spiegare ai suoi amici la terza dimensione. Nella sua semplicità il libro offre spunti sul senso della percezione e dell’elaborazione della realtà e di come influenzi la comunicazione con gli altri. Un libro più profondo di quanto possa sembrare in apparenza.
"I call our world Flatland, not because we call it so, but to make its nature clearer to you, my happy readers, who are privileged to live in Space.“
Le innovazioni tecnologiche hanno la capacità di cambiare radicalmente la nostra vita, la nostra società e anche la nostra concezione del mondo. In questo saggio Baricco prova a raccontarci e a spiegarci l’insurrezione digitale, come lui la definisce, ripercorrendone la storia nella sua interezza. Partendo dalle premesse dietro alle innovazioni, e dalle intenzioni degli inventori, Baricco mette in luce gli effetti che queste hanno avuto soppesandone i lati positivi e quelli negativi. Perché per quanto gli aspetti negativi siano innegabili, secondo me, la bilancia pende decisamente dall’altro lato.
E abbiamo finito. Se apprezzi Autarkeia, aiutaci a diffonderla, c’è tanto lavoro dietro!
Abbraccio,
Daniele
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