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Eccoci qui. Spero stiate bene. Ci sono molti nuovi iscritti a cui do il benvenuto e che ringrazio. Per loro mi presento: mi chiamo Daniele e sono laureato in filosofia teoretica a Bologna, ora studio in magistrale e mi sto specializzando in filosofia della scienza contemporanea. Se sei interessato alle varie cose che ho fatto e scritto puoi guardare qui.
Oggi parliamo del rapporto tra etica e religione, partendo da alcune considerazioni storiche. Premetto che queste non esporranno una ricostruzione rigorosa, ma piuttosto un percorso concettuale. Inoltre, parlerò principalmente di cristianesimo e non vorrei per questo venire accusato di eurocentrismo et similia. La verità è che non ho le competenze per parlare delle altre religioni: se qualcuno di voi vuole confrontare le riflessioni di oggi con altre dottrine, mi scriva, ne sarei felice.
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Cominciamo.
Il mondo non sarà mai felice, se non si deciderà a diventare ateo.
Ernst Cassirer
Questa citazione esprime un pensiero controintuitivo. É molto diffusa infatti l’idea secondo cui la nascita del cristianesimo e il suo rapido diffondersi siano collegati all’uguaglianza antropologica (e alla speranza che ne consegue) insita nella dottrina cristiana. L’uomo in quanto uomo è uguale davanti a Dio: che sia povero, ricco, nobile o plebeo. La prospettiva di una vita ultraterrena dona e ha donato senso a vite di intensa sofferenza. Nei momenti di maggiore difficoltà l’uomo si rivolge proprio a Dio, e questo lo rincuora, in qualche modo. Io sono d’accordo con questa prospettiva. Quindi, mi viene da dire, che forse sarebbe più corretto dire che il mondo non sarà mai felice, se rimarrà ateo.
Tuttavia, Cassirer non era uno stupido. Quindi vale la pena contestualizzare questa frase. É presa da una sua importante opera in cui tenta di ricostruire la mentalità diffusa durante l'Illuminismo. La scrive parlando del rapporto tra teologia e indagine della natura.
L’illuminismo, differentemente dal modo con cui spesso lo si vuole sintetizzare, è un movimento molto complesso in cui vengono sì ricercati la razionalità e lo sviluppo del pensiero critico, ma non solo. La ragione umana non viene celebrata nella sua onnipotenza, tutt’altro. La mentalità illuministica è una mentalità del limite. Bisogna prendere coscienza dei confini strutturali in cui l’intelletto umano è rinchiuso per ripulire la conoscenza da quelle infiltrazioni metafisiche e teologiche che ne contaminano il metodo e la validità.
E qui è nascosto il senso dell’affermazione di Cassirer. Per molti grandi scienziati e filosofi illuministi la necessità impellente era liberarsi dagli occhiali concettuali (i secoli di cristianesimo) che modificavano la loro visione del mondo, offuscandola, alterandola. É in questi decenni che si afferma in maniera decisiva un primo tentativo di interpretare laicamente la conoscenza, nei caffé di Parigi e nei salotti londinesi di metà ‘700.
In quei decenni vengono piantati i semi che cresceranno fino all’odierno declino mondiale delle religioni (che avevo argomentato qui). Tuttavia, fu necessario molto tempo perché si iniziassero a vedere le conseguenze esistenziali che si stavano per stagliare davanti all’umanità nel momento in cui la perdita della fede fosse diventata un fenomeno di massa.
Essere un senza dio (cioè la traduzione letterale di atheos) oggi è qualcosa di comune. Per quanto a volte ci nascondiamo dietro a varie forme di spiritualismi personalistici, spesso questi sono talmente vaghi e irrilevanti nella nostra quotidianità che la loro differenza con l’ateismo è difficile da definire. Secondo dati del 2006 gli atei nel mondo erano 700 milioni, e continuano a crescere. Per quanto vale, la mia esperienza personale è che tra le persone appartenenti alla mia generazione o quelle ad essa vicina trovare qualcuno che aderisce seriamente a una dottrina delle religioni classiche è davvero raro.
Questo per dire che ritengo temi come quello di oggi di rilevanza crescente. Per questo l’idea di oggi consiste nel proporre un’analisi delle conseguenze problematiche che l’ateismo ha nella quotidianità in un’ottica propositiva.
Perdita delle ricompense: la maggior parte delle religioni la cui dottrina comprende un’esistenza ultraterrena conseguente a un giudizio divino porta con sè una morale remunerativa (e qui la religione cristiana non fa eccezione). Questo significa che nella vita attuale le scelte che si fanno, i peccati o i gesti buoni che si compiono vengono fatti nella consapevolezza che questi saranno puniti o premiati. Se io scelgo il bene (per come la mia religione lo intende), lo scelgo consapevole che verrò ricompensato per questa mia scelta. Allo stesso modo, se scelgo il male so che verrò punito. Sebbene questa concezione etica non abbia impedito all’uomo di compiere atrocità lungo tutta la sua storia, essa comporta sicuramente dei vantaggi. Innanzitutto, un sistema di incentivi e disincentivi - e oggi sappiamo come questi siano efficaci nell’orientare le azioni - che rassicura. Se orienterò la mia vita al bene, so che questo non sarà mai uno sforzo insensato. Qualsiasi cosa accada, anche se tutti i miei sforzi dovessero fallire, so che la mia fatica verrà ricompensata.
Morale della responsabilità: in assenza di una morale remunerativa, non ho quelle rassicurazioni. L’assenza di ricompense ultraterrene toglie molte certezze. La definizione di bene e male, sebbene nemmeno nella religione sia cristallizzata, diventa ancora più sfumata, ancora più complessa. Le proprie scelte perdono incentivi e disincentivi che potremmo dire metafisici. Le conseguenze pratiche divengono il centro ancora più di prima. E sorge il rischio di scivolare in un relativismo assoluto. Per questi motivi la morale del senza Dio necessita di coraggio: l’ateo deve prendere sulle spalle il peso e la responsabilità delle sue azioni, e lo deve fare volontariamente. Deve riuscire a edificare una propria gerarchia etica anche se nessuno lo guarda e lo giudica dall’alto.
La solitudine: Nessuno lo guarda perché l’ateo è esistenzialmente solo. Per chi crede, Dio è sempre lì. Nemmeno soli nel deserto si è davvero soli quando si ha la fede. Non esiste il vero abbandono per il vero credente. Mentre l’ateo dovrà convinvere con una delle tante condanne dell’uomo: la solitudine interiore. E allora non potrà fare altro che volgersi all’altro, al suo simile. E nella comunanza delle loro condizioni trovare solidarietà e prospettiva. Nella conoscenza vedere la via di fuga, nella comprensione crescente del mondo una possibile spiegazione.
Assenza di fini: nonostante i tentativi siano stati e sono tantissimi, dare un fine all’universo in assenza di una divinità onnipotente è un’impresa molto complessa. Senza credo, e rimasti soli con la visione scientifica del mondo, veniamo più che altro presi dallo sconforto: ancora più soli, ancora più abbandonati nel niente, tutto perde di senso. Anche qui, come nella morale, non credo ci sia molto da fare. Un ateo non potrà far altro che prendere sulle spalle il peso del proprio senso, consapevole che questo proverà a scappargli dalle mani per tutta la vita. Proprio perché esso non è definito in un libro o in una dottrina, il suo peso specifico aumenterà come la difficoltà nel trovarlo.
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Riflessione conclusa, fatemi sapere. Ho cercato di fare un’analisi, non di esprimere una mia vera posizione: spero si sia inteso! Intanto ecco i due consigli della settimana:
“La maggior parte delle case di cura si dedica al ristretto e perfettamente ragionevole obiettivo di mantenere i residenti al sicuro e in salute. Il Village Landais si pone una domanda più ampia: come potrebbe essere una buona vita con l'Alzheimer?”
In questo articolo, Marion Renault racconta il caso in un villaggio francese che si occupa di malati di Alzheimer seguendo un approccio alternativo a quello delle case di cura standard. Invece di limitare l’autonomia e la libertà dei pazienti per ottenere la loro sicurezza, cerca di espanderle, creando un ambiente che si adatti al loro mondo, nel quale “se qualcuno vuole mangiare lo yogurt con la forchetta, che importa?”
In quest’altro articolo, un ex soldato, a partire dalla riflessione sul ruolo del caso in diversi ambiti, come la guerra, lo sport e il mondo aziendale, si domanda quale sia il rapporto tra caso e successo nella vita. In particolare, mostra come le nostre credenze riguardo a ciò che consideriamo frutto del caso influenzano la nostra attribuzione di responsabilità, merito e colpa a noi stessi e agli altri.
E abbiamo finito per questa domenica. Come sempre vi dico, se volete contattarmi per critiche o consigli, basta rispondere a questa mail. Oppure potete commentare qui sotto.
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Daniele
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