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Eccomi qui, buongiorno a tutte e a tutti. Oggi parleremo di ignoranza, parole e tuttologia: non sarà la solita noiosa lezione su Socrate e il suo “so di non sapere” (che citeremo solo di sfuggita), ve lo prometto. Prima di iniziare volevo ringraziare le tantissime persone che si sono iscritte! Se volete comprendere meglio cosa sia questo progetto e quali siano i valori che lo guidano, vi consiglio di leggere il Manifesto di Autarkeia. Se invece stai leggendo questa newsletter senza essere iscritto, clicca il bottone qui sotto:
Ho altre due cose da dirvi prima di cominciare. Come forse avrete notato, ho aperto la sezione “Commenti”. Questo significa che, come alcuni di voi hanno già fatto, ora potete commentare ogni numero pubblicamente e rispondere ai commenti di altri membri della community. Ovviamente, se preferite scrivermi in privato, l’invito a rispondere direttamente a questa mail è sempre aperto (grazie delle decine di messaggi che mi avete mandato, leggervi mi sta arricchendo molto). Per commentare basta scorrere fino al fondo della mail, e cliccare il tasto “Commenta” di fianco al cuore/like.
Seconda cosa: l’Autarkeia Wishlist ora funziona (in teoria)! Dopo aver messo il libro nel carrello e aver selezionato “fai un regalo”, dovrebbe apparirvi il mio nome e “indirizzo per i regali”. Grazie di cuore a tutti quelli che lo hanno già fatto nonostante i problemi tecnici: è così bello vedere che qualcuno valorizza il tuo lavoro e crede in quello che fai.
E ora, cominciamo.
“Soltanto i pazzi sono sicuri e risoluti.”
Michel de Montaigne
Penso che tutti, compreso il sottoscritto, nel proprio vissuto abbiano provato almeno una volta l’imbarazzo di non sapere o di non ricordare qualcosa che il senso comune ritiene come noto a tutti. Quando ci troviamo in situazioni del genere, la nostra reazione istintiva è quella di dissimulare, cercando per orgoglio di nascondere la nostra ignoranza, magari aggiungendo con un borbottio un lapidario “ma sì, è ovvio”. Lasciamo che la conversazione scorra e, tirando un sospiro di sollievo per non essere stati scoperti, tentiamo di cambiare argomento. A me una volta successe con Rinascimento e Risorgimento: non riuscivo a ricordare quale venisse prima e quale dopo. Per evitare brutte figure scappai dalla conversazione.
Ma fu un’altra la volta in cui mi resi davvero conto di non sapere qualcosa di ovvio: e quella volta aveva a che fare con ciò che pensiamo di conoscere meglio di tutto il resto, le parole. Nel discorso comune spesso usiamo termini di cui non conosciamo davvero il significato. Li diamo per scontati e li usiamo nelle nostre affermazioni, ritenendo ovvio che chi abbiamo di fronte li conosca. Me ne resi conto qualche anno fa in un attimo di lucidità che ebbi dopo un litigio con mia sorella piccola. Stavamo discutendo in maniera abbastanza aggressiva, quando lei a un certo punto con occhi infuocati mi urlò addosso che “ero solo un arrogante”. La conversazione terminò lì, e io andai a fare due passi sul bagnasciuga (eravamo al mare). Mentre i miei nervi si rilassavano, a un certo punto mi attraversò la mente un pensiero: ma poi, che cosa significa arrogante?. “Dai Daniele, non puoi non saperlo è ovvio”. E invece no, non ne avevo idea.
E allora andai a cercarne il significato: scoprii che la definizione di arroganza in realtà è un concetto pieno di implicazioni tutt’altro che scontate. Arrogante è chi ha un senso di superiorità nei confronti del prossimo e lo manifesta con disdegno. Eccola quindi: l’arroganza è quel senso di superiorità nei confronti dell’altro da noi, a prescindere da chi esso sia, ingiustificato e fastidioso. È un concetto molto profondo. Fino a quel momento avevo sempre parlato di arroganza, così, per uso comune, ma senza sapere davvero che cosa volesse dire. Ebbe così inizio una delle mie ossessioni (una delle poche positive). Da quel giorno, ogni volta che sento o penso una parola di cui non so il preciso significato, la segno e la trascrivo su un quaderno assieme alla sua definizione. E così facendo ho scoperto concetti meravigliosi. Faccio degli esempi. Veniale: errore non grave, meritevole di indulgenza, di perdono (quanto è bella l’idea di un errore meritevole di perdono?). Oppure malinconia: stato d’animo di vaga tristezza, spesso alimentato dall’indugio rassegnato o addirittura compiaciuto. Oppure un verbo che si sente in ogni telegiornale: strumentalizzare, cioè considerare qualcosa o qualcuno come strumento per raggiungere i propri scopi. Ultimo esempio: che cos’è il disagio? Un senso di pena e di molestia provato per l’incapacità di adattarsi a un ambiente o a una situazione, spesso per motivi morali.
Potrei andare avanti all’infinito. Non sono concetti bellissimi? Avevo sempre usato queste parole, così, con leggerezza. Ma quando mi sono reso conto di non conoscerne davvero il significato, prendendo consapevolezza della mia ignoranza, ho potuto scoprire qualcosa di nuovo e arricchirmi. Ho imparato nuovi concetti, ho compreso che il linguaggio è fatto di stratificazioni. Ho capito che i significati sono costruzioni, e i mattoni con cui vengono eretti sono le millenarie esperienze umane: che nulla è più umano del linguaggio stesso.
Ma tornando al litigio, pensiamo ora ad un universo parallelo. Al posto che tutto questo, durante la discussione con mia sorella, io mi giro verso di lei (spero che non se la prenda, ciao Chiara ti voglio bene) e le urlo in faccia: “Idiota, sei tu l’arrogante, non io!”, per poi andarmene soddisfatto a passeggiare, felice di aver rigirato l’insulto, qualsiasi cosa quell’insulto volesse dire. Che cosa accade in questo mondo possibile? Che io rimango nella mia supponenza, contento di aver risposto per le rime, inconsapevolmente fiero della mia arroganza. Ed ecco il paradosso: mi rivelo un arrogante che ha accusato di arroganza un altra persona, senza sapere nemmeno che cosa arrogante significhi. E tutto si chiude lì, senza che io abbia imparato nulla, non consapevole di non sapere.
Cosa insegnano questi due scenari contrapposti? Che la consapevolezza di non sapere produce una curiosità che senza quella consapevolezza non ci sarebbe: ed è proprio da quella curiosità che nasce la ricerca della conoscenza. L’ignoranza non va evitata, ma guardata in faccia: è una tensione, un’attitudine, un filo che scorre tra il non sapere nulla e il sapere tutto. Questi due poli opposti della conoscenza hanno però un difetto che l’ignoranza consapevole non ha: sono fermi. Mentre chi cammina sul filo teso che li unisce ricerca qualcosa perché sa di non averlo. La consapevolezza di non sapere qualcosa è un vantaggio, non una mancanza, un punto di partenza che chi suppone di sapere si preclude. L’ignoranza è un’apertura: all’altro, al mondo, agli eventi, alla complessità.
Ma questa non è una novità: la stessa cultura occidentale sorge da un’ammissione di ignoranza. Quel celebre so di non sapere di Socrate che, paradossalmente, tutti credono di conoscere.
Vi è un tesoro prezioso nascosto dietro a quella semplice frase. Proviamo a scoprirlo. I greci distinguevano due tipi diversi di ignoranza: l’agnoia e l’amathia. La prima è una semplice mancanza di conoscenza, mentre la seconda è un’insipienza (altra bellissima parola), una forma di ignoranza doppia. L’amathes (cioè appunto l’ignorante doppio) è colui che ignora qualcosa ma allo stesso tempo presume di conoscerlo. E questa per gli antichi era la condizione peggiore per l’uomo. Perché, essendo una condizione d’ignoranza di cui non siamo consapevoli, dall’amathia non si può uscire. Non ricerchiamo il sapere perché presumiamo di possederlo già.
Ed è per questo che quella socratica è una rivoluzione. Socrate è il primo dotto ignorante: ricerca, proprio perchè è consapevole delle sue mancanze. Ora si comprenderà meglio il celebre episodio di Delfi, in cui l’oracolo dichiara che Socrate è il più sapiente di tutti gli uomini. Egli è l’unico che, oltre a essere ignorante, è anche consapevole di esserlo.
E se questo fu un atto rivoluzionario 2500 anni fa, oggi lo è ancora di più. Nel mondo dell’iperspecializzazione della cultura in cui decine di migliaia di volumi vengono pubblicati ogni anno, nel mondo dei tuttologi e dei presunti intellettuali che sentenziano ex cathedra usando astruse parole incomprensibili ai più, un semplice non lo so è la più rivoluzionaria di tutte le azioni possibili. Ogni parola ha un colore dato da profonde e complesse sfumature di significati, ogni concetto ha una lunga storia fatta di emozioni ed esperienze e non c’è nulla di cui imbarazzarsi nel non conoscere qualcosa. Dietro ad ogni ammissione di ignoranza non ci deve essere vergogna, ma una consapevolezza. E quella consapevolezza deve essere il punto d’appoggio che permette di ricercare ciò che non si conosce.
L’ammissione di ignoranza ha anche un valore politico. Spesso assistiamo a narcisistiche esibizioni di presunte competenze universali: ma pensare di sapere tutto è segno di inaffidabilità e cialtroneria, non di genialità. Un uomo incapace di dire non lo so, è un uomo che non ha capito che cosa sia la cultura. E quindi tutt’altro che un intellettuale, tutt’altro che uno statista. E allora penso sia perfetto concludere con una bella citazione presa da un intelligente libretto scritto da Gianrico Carofiglio. In un passaggio in cui sta raccontando un’esperienza vissuta nella sua unica campagna elettorale, Carofiglio scrive:
Nel 2008 mi avevano invitato a un incontro in una casa privata, ma una volta arrivato lì mi resi conto che gli invitati erano quasi tutti di destra. Cortesi, ma sostanzialmente ostili. Qualcuno mi fece una domanda che aveva a che fare con questioni di cui ero del tutto ignorante. Per qualche secondo pensai di imbastire comunque una risposta e cavarmela con qualche capacità di improvvisazione. Poi invece dissi semplicemente che non conoscevo l’argomento e che dunque preferivo non dare risposte e non dire banalità. Alla fine dell’incontro, al momento dei saluti, il tale che aveva fatto la domanda mi disse: “Io ho sempre votato a destra, ma stavolta voterò per voi perché è la prima volta che sento un politico darmi una risposta come la sua”.
Spero che il messaggio che volevo trasmettere sia arrivato! Tengo molto a questa riflessione, e credo che possa avere una grande potenzialità nella vita quotidiana. Fatemi sapere cosa ne pensate. Se l’hai apprezzata, condividila! Basta una storia su Instagram o una condivisione su Facebook. Per me sono oro: non ho altri modi di farmi conoscere e uscire dalla bolla.
E ora, i consigli.
Quando ho scritto Il genio e la masturbazione volevo riuscire a trasmettere concetti che ritengo fondamentali generando curiosità in chi vedeva l’anteprima del numero attraverso un titolo volutamente provocatorio. Non so se ci sono riuscito, ma sicuramente ci è riuscito Giacomo di Entropy for Life: spiegare la statistica e la biologia attraverso la scienza della lunghezza del pene ha qualcosa di geniale.
Se volete un bel video sintetico ma esaustivo sui membri del nuovo governo Draghi, vi consiglio questo di Giovanni Pizzigoni.
Vi metto un po’ di bellezza a caso, perché questa settimana ne è stata piena: le cascate del Niagara congelate e un po’ di foto delle spettacolari eruzioni dell’Etna.
Il 18 febbraio il rover Perseverance è atterrato su Marte. La Nasa ha diffuso il video dell’atterraggio. Vi consiglio dopo averlo guardato di leggere questo bellissimo articolo che spiega cosa ci sia di incredibile in quel video. Se poi volete approfondire l’ingegneria futuristica contenuta in quel robottino che ora sta girando il suolo marziano in cerca di forme di vita passate, vi lascio un video di Real Engineering.
In ultimo: negli ultimi 10 anni in Qatar sono morti più di 6500 migranti addetti alle costruzioni necessarie per i mondiali di calcio del 2022. Il meccanismo che sta dietro a queste morti è ripugnante: uomini che lavorano per i regimi dei ricchi paesi arabi del Medio Oriente girano le zone rurali dei paesi più poveri al mondo assumendo a prezzi indecenti uomini e donne, per poi usarli come carne da macello nei cantieri. Chissà che anche il Qatar non si riveli il luogo perfetto per un Nuovo Rinascimento.
Come sempre, ecco i libri della settimana.
Ti è piaciuto questo numero? Dietro ci sono io, Daniele. Studio filosofia a Bologna e gestisco interamente da solo il progetto. Vorresti supportare Autarkeia e valorizzare le decine di ore settimanali che stanno dietro a ogni numero? Puoi regalarmi un libro! Sceglilo dall’Autarkeia Wishlist. In alternativa, puoi comprare qualcosa da questo link generico, o acquistare direttamente dai link della newsletter i libri consigliati; io riceverò qualche spicciolo sul prezzo di copertina.
Lem è uno dei più importanti scrittori di fantascienza di tutti i tempi. Solaris è un romanzo e allo stesso tempo una sorta di trattato filosofico sull’intelligenza. Un uomo arriva su un pianeta che ha un unico abitante indigeno: uno strano oceano della cui natura gli uomini non riescono a venire a capo. In un ammirevole tentativo di emancipazione dall’antropocentrismo, Lem ci costringe ad abbandonare i panni dell’umanità per provare a immaginare l’intelligenza come non l’abbiamo mai pensata.
Filosofia della bugia, di Andrea Tagliapietra
Questo non è un saggio facile. Richiede tempo e concentrazione, ma ti ridà indietro molto di più di quello che hai investito. Tagliapietra ripercorre la storia dell’umanità (dagli uomini primitivi a noi) attraverso la menzogna, evidenziandone il rapporto ineliminabile con la sincerità, la verità e il rapporto tra individui. La bugia può nascere solo quando impariamo a metterci nella testa dell’altro, provando a vedere dentro al suo animo: ed è così che forse è proprio dalla bugia che sono nate le comunità.
Questo libro è un’avventura incredibile.
La newsletter di oggi finisce qui, grazie di avermi letto! Prossima settimana sarò in un vero e proprio inferno universitario, ma spero di riuscire lo stesso a scrivere il numero. Nel caso aspettatevi una newsletter più leggera del solito.
Buona settimana e buon lavoro a tutti,
Daniele
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molto interessante Daniele! grazie, sei davvero bravo e direi che la penso come te su quanto scrivi