Autarkeia è una newsletter di riflessioni che esce due volte al mese di domenica mattina.
Puoi leggere qui i numeri precedenti e qui il manifesto del progetto, questa è la nostra pagina Instagram.
Eccoci qui. Ho ricevuto messaggi da alcuni di voi che erano rattristati dal fatto che nella newsletter non vi saranno più i consigli. Ho deciso quindi di trovare una soluzione di compromesso: senza uno schema rigido, ogni numero di Autarkeia avrà qualche consiglio, un po’ meno di prima ma che cercherò in accordo coi miei impegni di mettere sempre. Mentre sulla pagina Instagram di Autarkeia abbiamo consigliato già alcuni libri e articoli.
Oggi vi propongo una riflessione che proverà a ripercorrere un percorso mentale che intrapresi anni fa. A prescindere dai suoi contenuti, ciò che apprezzo ancora oggi di quei ragionamenti è che ebbero risvolti concreti sulla mia quotidianità. Ed è sempre affascinante, e bello, quando il pensiero, astratto e nebuloso, riesce ad avere effetti sul tuo mondo, concreto e reale, e a cambiarti cambiando alcuni aspetti di te.
Ultima cosa: questo numero è un esperimento. L’esposizione di questa newsletter tenterà di avere uno stile argomentativo più rigoroso del solito, più simile a quello di un testo filosofico. Spero che la lettura non risulti macchinosa per questo motivo.
Cominciamo.
Che cos’è un complimento? O meglio, che cosa intendiamo quando parliamo di complimenti?
Provo a dare una definizione. Un complimento è un’esternazione verbale o scritta di un sentimento di apprezzamento nei confronti di un altro individuo. Chiamo quindi sentimento di apprezzamento il contenuto di un complimento, che può venire esternato o meno; e chiamo complimento l’esternazione di quel sentimento. Una premessa: questo discorso non tratterà dei complimenti “insinceri”, volti all’adulazione e all’inganno. E questo perché nella definizione che abbiamo dato è implicito che il sentimento di apprezzamento posto come contenuto del complimento sia reale. Di conseguenza un complimento falso non è un complimento. Con maggiore rigore, potremmo dire che condizione necessaria affinché un’esternazione verbale o scritta sia un complimento è che il suo contenuto (il sentimento di apprezzamento) sia vero.
La prima cosa che vorrei dire è che i complimenti non sono presenti in maniera assidua nelle nostre quotidianità. Spesso sono rari, e capita che alcuni complimenti che si ricevono si staglino così tanto come una rarità che non ce li dimentichiamo più. Tuttavia, i sentimenti di apprezzamento sono, invece, molto presenti nelle nostre giornate. Qua la mia argomentazione perde di rigore. Ma dati oggettivi su quanti complimenti in media si ricevono sono impossibili da ottenere. Quindi non ci resta che basarci sulle nostre impressioni personali. E la mia impressione personale è la seguente.
I sentimenti di apprezzamento che proviamo sono molti di più dei complimenti che esterniamo.
Assumerò questa frase come vera, consapevole che la sua forza non sia assoluta. Per questo può essere messa in discussione, ma ho già spiegato le mie ragioni per assumerla.
Ora: perché esterniamo così pochi complimenti? E perché dovremmo farlo di più?
Partiamo da che cosa accade in noi dopo che proviamo un sentimento di apprezzamento. Solitamente vi sono due reazioni: stima o invidia. La prima è il riconoscimento del valore positivo della cosa apprezzata. La seconda è la valorizzazione di quella cosa ma con un conseguente desiderio rancoroso di averla, spesso accompagnato dalla presunta consapevolezza di non poterla avere.
Quando proviamo stima esternare il sentimento di apprezzamento è più facile. Quando proviamo invidia invece, diviene (apparentemente) ovvio non farlo. Ciononostante, anche quando proviamo stima tendiamo a non esternare alcun complimento. E credo che questo accada per educazione, cultura e costrutti sociali. Non siamo abituati al complimento. É un tipo di esternamento che spesso non ci viene spontaneo. E per questo è utile ragionarci.
La mia idea è che il complimento vada esternato nella maggior parte delle situazioni. E, come chi mi conosce sa, questa è una norma che io ho applicato nella mia quotidianità. Questo perchè credo che il complimento abbia un valore morale in sé, indipendentemente dall’essere fonte in noi di stima o di invidia. Vediamo perché.
Empatia. La comunità umana condivide la medesima condizione. E questa condizione è contraddistinta dall’impossibilità di conoscere il futuro. Ogni predizione, per definizione, non è che un tentativo. Nessuno nasce col libretto delle istruzioni su ciò che deve fare, e nessuno sa davvero le conseguenze che le sue scelte avranno. Viviamo tutti nella stessa condizione di panico: la verità è che facciamo del nostro meglio con quello che abbiamo. E questa condizione è una condizione in cui tutti, potremmo dire per natura, dobbiamo vivere. Tuttavia, spesso guardiamo gli altri e ce ne dimentichiamo. Gli altri ci appaiono come certi di ciò che diverranno e certi delle loro scelte. Mentre in realtà non lo sono, o meglio, non possono esserlo (se questi temi vi interessano ne avevo parlato più approfonditamente in Nessuno sa che cazzo sta facendo). In questo contesto il complimento assume un grande valore. Non vi è modo migliore del complimento per mostrarsi consapevoli di queste riflessioni. Quando in noi sorge un sentimento di apprezzamento, per l’individuo che ne è l’oggetto quell’apprezzamento può avere un valore inestimabile. Noi non siamo a conoscenza della sua privata vita interiore, ma sappiamo che anche lui non ha alcun libro delle istruzioni per la sua vita. E il fatto che noi abbiamo apprezzato qualcosa che lui ha fatto o detto può essere un’informazione fondamentale: un complimento spesso diviene un gesto di profonda importanza per chi lo riceve, con impatto infinitamente superiore rispetto alla fatica che fa chi esterna il sentimento di apprezzamento.
Consapevolezza e diffusione. Sebbene questo possa essere già un buon motivo per fare complimenti, non è solo per altruismo che dovremmo farli, ma anche per egoismo. Fare spesso complimenti aiuta a creare ambienti spontanei e di stima reciproca. Ma non solo: porta un piccolo granello nel tentativo di cambiare la visione collettiva del complimento. E questo significa che il nostro comportamento aumenterà le possibilità anche di ricevere complimenti. E sappiamo quanto questo sia importante, come abbiamo spiegato nel primo punto.
Tentativi di fuga. Infine, un altro motivo per impegnarsi nell’esternare i propri sentimenti di apprezzamento sta nel loro essere in parte privi di un egoriferimento. Mi spiego meglio. Siamo inevitabilmente egocentrici, per ragioni che mi verrebbe da definire strutturali. Tuttavia, anche se a volte ci piace pensare il contrario, non giochiamo alcun ruolo nella stragrande maggioranza dei fatti del mondo, in tutti i casi in cui essi non hanno alcuna relazione con noi. Fare complimenti disinteressati diviene un esercizio di fuga dall’ossessione del sè. Non tutte le nostre frasi, non tutti i nostri pensieri devono per forza essere legati a qualcosa di nostro. Un complimento non deve necessariamente venire influenzato dal ruolo che il sentimento di apprezzamento assume nella nostra atmosfera emotiva. Esso può e deve essere un semplice movimento verso l’altro, un movimento di comprensione, di empatia. E questo non ha nulla a che fare con ciò che suscita in noi successivamente. Per questo è fondamentale esternare i nostri sentimenti di apprezzamento anche quando ci generano invidia. Perché fare quel complimento, in un certo senso, purifica il nostro rancore, e ci porta a valutare ciò che gli altri sono, fanno, dicono non in riferimento a noi, ma in riferimento, appunto, agli altri, liberandoci in qualche modo dall’ossessione di se stessi.
Per questi tre ordini di motivi quindi, sia che in noi ci sia invidia sia che in noi ci sia stima, il complimento assume un valore morale autonomo, indipendente. Esso diviene un movimento di allontamento dal nostro costante egoriferimento, un movimento mentale ed empatico verso l’altro.
In sintesi: se apprezzi qualcuno per qualcosa, diglielo.
Queste sono le mie idee riguardo i complimenti. E queste sono le argomentazioni a favore della convinzione che, nella maggior parte delle volte in cui si apprezzano gli altri, lo si dovrebbe dire ed esternare. Mentre scrivevo questo numero mi sono reso conto che avrei avuto tantissime altre cose da dire, ma non potevo scrivere un trattato. Per esempio, non ho detto nulla riguardo il ricevere complimenti, e mi sono concentrato su un tipo specifico di complimenti, mentre discorsi analoghi si possono fare su complimenti estetici o sociali. Se questi temi vi piacciono magari posso dedicar loro un altro numero. Fatemi sapere. In ogni modo, grazie a tutti coloro che hanno seguito l’intera argomentazione.
Ora, come promesso, qualche consiglio.
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Un libro che ho letto quest’estate: Il mestiere di pensare, di Diego Marconi. In Italia si ha una visione totalmente distorta di che cosa significhi fare filosofia nella contemporaneità, e questa visione è molto disallineata dal resto del mondo. Questo piccolo libro raccoglie riflessioni chiare e analitiche su che cosa significhi oggi essere un filosofo. E quali siano le differenze tra i filosofi mediatici, continentali, analitici. Lo consiglio come lettura preliminare a tutte le persone interessate ad approfondire la filosofia contemporanea. Ma anche a tutti coloro che non capiscono il senso di studiare la Fisica di Aristotele (anche perché, probabilmente, quel senso non c’è).
Perchè odiamo chi tradisce? In una società che mira ad essere sempre più inclusiva e progressista, il valore della monogamia rimane sacro per una larghissima parte (anche giovane) della popolazione. Questo articolo mostra attraverso alcuni avvenimenti della cultura popolare come stiamo addirittura diventando meno tolleranti verso i tradimenti. Non lo so, non ho un’opinione netta in merito. Ma mi sembra qualcosa di molto interessante.
In questo pezzo del New Yorker “How mathematics changed me”, l’autore (un importante giornalista americano) racconta la storia del suo libro, A divine Language, e del suo rapporto con la matematica, che ha provato a ristudiare a sessantacinque anni. É un racconto affascinante: parla di come spesso incontriamo la matematica a un’età troppo precoce, e questo ci preclude dal comprenderne la meraviglia.
E siamo alla fine di questo numero. Vi ricordo che tutti i numeri precedenti sono visionabili a questo link, che i modi per supportare il progetto sono due: Ko-Fi e la wishlist di letture! Grazie di tutte le donazioni e dei bei messaggi.
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Daniele
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Grazie per aver condiviso con noi questa bellissima riflessione! È la prima volta che ti leggo, e sono felice di aver trovato questo spazio. Certe volte dovremmo essere più coraggiosi e dire quello che pensiamo, soprattutto nei complimenti!
Riflessioni mooolto interessanti Daniele! Grazie