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Oggi gioco in casa. Sul rapporto tra distrazione e Big Data ho riflettuto e scritto molto: il saggio a cui tengo di più è questo qui. È stato premiato ai Myllennium Awards ed è stato pubblicato da Gangemi Editore, potete leggerlo su Medium.
Prima di cominciare, volevo dirvi che questa settimana inizierò alcuni esperimenti su Instagram, sia per avere feedback diretti dalla community, sia per scegliere insieme a voi i contenuti di settimana in settimana. Seguimi qui!
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E ora, iniziamo.
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“Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria e l’ignoranza, hanno risolto, per vivere felici, di non pensarci”.
Blaise Pascal
Il mio amore per lo studio ha una data di nascita. Era primavera, in classe c’era odore di adolescenza e puzza di sigarette spente. Il mio professore di storia e filosofia stava spiegando il pensiero di uno sconosciuto francese che sembrava parlare solo di cristianesimo e Dio: mi annoiavo. Volevo solo uscire di lì e andare a mangiare. Era un periodo in cui della scuola mi fregava davvero poco. Mi piaceva dire sempre con i miei amici che “vivevo di sabato in sabato”, che non facevo altro che sopravvivere alla settimana per arrivare vivo al weekend, uscire e non pensare.
Ed è in questo contesto che il professore (a cui devo tantissimo) iniziò a spiegare un concetto che per fortuna ascoltai e che non mi sono mai più scordato: il divertissement. Fu la prima volta in cui sentii la vertigine del “ma come diamine fa questo qua a parlare di me?”. Oggi spero di riuscire a trasmettervi qualcosa di simile a quello che provai io quel giorno. Quindi: che cos'è il divertissement e perché ci riguarda?
Siamo in Francia, nella seconda metà del ‘600. Un uomo vicino ai quarant’anni ha in mente un progetto straordinario: vuole costruire un’immensa opera a difesa della sua fede, un’opera che possa definitivamente difendere la sua religione dagli attacchi costanti di chi crede in qualcos’altro, o di chi non crede in nulla. Alcune fonti sostengono che quest’uomo dicesse che “chiunque leggerà per intero la mia opera dovrà confessare la sua fede o ammettere la sua completa follia”.
Purtroppo quell’uomo era di salute molto cagionevole. Un male fatale lo uccise a soli 39 anni. Le carte e gli appunti di preparazione alla sua impresa furono raggruppati, ordinati e pubblicati otto anni dopo. Ed è così che nasce uno dei capolavori del pensiero occidentale, Les pensées (Pensieri) di Blaise Pascal.
I temi trattati in questo libro sono tantissimi. In maniera sintetica e non esaustiva possiamo dire che quello che Pascal individua in maniera straordinaria è un sentimento di angoscia: uno spaesamento da cui l’uomo è stato travolto dopo che Copernico ha tolto l’umanità dal centro dell’universo, mettendo il Sole al posto della Terra e facendone crollare tutte le certezze. Ma ciò che interessa a noi è che una delle architravi di quest’opera è proprio il concetto di divertissement.
Nelle bellissime pagine in cui tratta questo tema, Pascal scrive che ogni nostra attività ha come fine, consapevolmente o inconsapevolmente, il dimenticare chi e che cosa siamo. L’uomo tende per natura a distrarsi, così da poter raggiungere quell’oblio del sé che ci permette di evitare di riflettere sulla nostra condizione. Per Pascal tutte le nostre occupazioni non sono altro che mezzi con i quali cercare di evadere dall’autoconsapevolezza: non si cercano mai le cose, bensì la ricerca delle cose; ci muoviamo per muoverci, non per raggiungere qualcosa. Ed è per questo che gli uomini, nella loro multiforme attività, tendono sempre al divertissement.
Divertissement è una parola francese che viene comunemente tradotta con distrazione, ma il significato più corretto sarebbe quello etimologico, dal latino de-vertere: cioè “volgersi altrove”. Ma cosa vuol dire “volgersi altrove”? La risposta a questa domanda l’ha data Marc Augé:
L’altrove va inteso come intermezzo, come un approdo temporaneo. Un luogo intermedio, supplementare, un posto differente da quello da cui siamo partiti, come da quello verso il quale siamo diretti.
L’altrove è un non-luogo che ci permette di comprendere cosa intende Pascal quando ci parla di distrazione: il divertissement è uno stare altrove, un nascondersi in un luogo intermedio in cui non pensare; in cui non essere niente. Pascal credeva che la vita degli uomini non fosse altro che questo: un continuo correre verso un altrove in cui nascondersi, in cui non esistere: perché guardare in faccia ciò che si è non può che rendere infelici. E questo concetto è stato riassunto da Pascal in una frase straordinaria che viene citata spesso a sproposito:
Tutta l’infelicità degli uomini deriva da una sola causa: dal non saper restarsene tranquilli in una camera.
Ogni volta che leggo questo aforisma penso alla malinconia della domenica. A quella vaga tristezza che ritorna ogni weekend mentre si sta in equilibrio tra la settimana appena finita e quella che deve ancora cominciare. Perché in quei momenti mi rendo conto di quanto Pascal abbia centrato il punto: non sappiamo restarcene tranquilli in una camera, non sappiamo rimanere fermi a pensare.
Dobbiamo ricordarci che queste parole sono state scritte quattrocento anni fa. E nel XVII secolo distrarsi non era così semplice. Leggere oggi gli esempi di distrazioni che Pascal cita fa abbastanza ridere: “la caccia, la guerra, il giuoco e le civili conversazioni, gli alti uffici e la ricerca della gloria”. Ma in realtà il punto di questo discorso è proprio qui. Nel 2021 per distrarmi non vado a far la guerra o a cacciare cinghiali. Mi basta molto meno. In realtà posso fuggire altrove ogni volta che voglio, posso benissimo stare altrove un’intera giornata senza alzarmi dal mio letto. Come? Beh, la risposta ce l’hai probabilmente in mano in questo momento.
Pascal ha colto un aspetto profondamente connaturato all’essere umano. Il problema è che oggi su quella caratteristica della nostra natura si sono innestati strumenti potentissimi che rischiano di estremizzare in maniera preoccupante la tendenza a lasciarsi trascinare dalla corrente, a scappare nel divertissement: non a caso oggi si parla del mondo digitale, degli smartphone e dei social media come di una cultura della distrazione. Gli algoritmi su cui i social network si basano sono costruiti proprio per farci restare altrove il maggior tempo possibile. Ogni volta che aggiorniamo un feed ci vengono forniti nuovi contenuti, il più possibile aderenti ai nostri gusti. Il prodotto che ci viene offerto non è consumabile, perché potenzialmente infinito; e questo proprio per fare in modo che, rimanendo online il maggior tempo possibile, visualizzeremo più pubblicità mirate possibili, rimanendo altrove per un tempo indefinito.
In ambito digitale viene chiamato infinite scrolling. È un’idea presente in tutti i social media e penso che il “criceto nella ruota” sia la metafora perfetta per esprimerla. Come forse avrete notato, su Instagram, Facebook e Twitter i post proposti all’utente non possono finire, non vi è una “fine della pagina”. Lo scrolling non ha limiti: fino a quando l’utente non deciderà di bloccare lo smartphone, che sia dopo 5 minuti o dopo 8 ore, ci saranno sempre nuovi contenuti. L’algoritmo continuerà a caricarne altri pensati apposta per te: all’infinito. Anzi, al finito, poiché potenzialmente saresti tu a finire molto prima della macchina.
E chi soffre di più di questa situazione? Chi rischia maggiormente di diventare cibo per algoritmi? È straordinario che sia lo stesso Pascal a dircelo, dal lontano (o forse vicino) ‘600:
I giovani non vedono la vanità del mondo, immersi nel chiasso, nel divertimento e nel pensiero dell’avvenire. Eppure, togliete loro la distrazione: li vedrete consumarsi per la noia; essi sentono allora il loro niente, senza conoscerlo.
Ed eccoli apparire di nuovo, proprio loro, i famosi criminali della movida: i giovani. Chi è che viene accusato di “stare sempre attaccato al telefono”? Chi viene attaccato per passare troppo tempo davanti a uno schermo e non uscire all’aria aperta? Proprio loro, i mitologici giovani. Come già Pascal aveva compreso, sono proprio i giovani coloro che più di tutti tentano costantemente di fuggire altrove, e, non casualmente, sono coloro che passano più tempo davanti al proprio cellulare.
Ma chiediamoci: noi ragazzi non siamo più vittime che carnefici di questa situazione? E se l’ignavia digitale non fosse una colpa, ma un pericolo in cui siamo stati gettati come cavie? Se siamo stati immessi come topi da laboratorio in un sistema di data analytics e machine learning proprio nel periodo più delicato e più difficile della formazione della nostra identità, il giudizio di chi ci osserva non dovrebbe essere meno netto e più sfumato? Gli sguardi dall’alto della maturità non dovrebbero essere più comprensivi? Più attenti alla complessità di questa situazione e ai modi per risolverla?
E allora questo numero vuole essere un ponte, tra generazioni che spesso faticano a capirsi. La distrazione digitale è diventata parte di noi, ma non è solo colpa nostra. Sono un problema le centinaia di ore che vengono sprecate davanti a uno schermo? Io credo di sì, e per questo bisogna combattere: il tempo che abbiamo è limitato e vale sicuramente di più che farsi svuotare da ore di alienazione tecnologica. Ma non saranno quegli sterili rimandi a una fantomatica età dell’oro, quei famosi “quando ero giovane io, le cose andavano meglio di così”, a migliorare la situazione. L’educazione e la comprensione devono sostituirsi al giudizio e ai moralismi, perché non siamo stati noi a voler finire in questa situazione, e, sebbene gli uomini da sempre tendano per natura alla distrazione, noi siamo i primi a crescere in questo esperimento.
La riflessione è finita: fatemi sapere cosa ne pensate! Commenta qui sotto oppure rispondi direttamente a questa mail. Il numero di oggi si colloca sulla linea ideale iniziata con le altre riflessioni etico-morali di questa newsletter: “Sul lasciarsi trascinare della corrente” e “L’eterno problema del diventare adulti”. Se il numero di oggi ti è piaciuto, ti consiglio di recuperare anche quelli! E come sempre, una condivisione su FB o una storia su Instagram per me fanno la differenza, quindi se vuoi aiutarmi clicca qui:
Questa settimana non sono riuscito a fare i consigli, vi chiedo scusa. Come vi avevo detto, la settimana è stata un inferno, e ho chiuso questo numero sabato a notte fonda. Ma i libri non possono mai mancare, e quindi, eccoli qui.
Ti è piaciuto questo numero? Dietro ci sono io, Daniele. Studio filosofia a Bologna e gestisco interamente da solo il progetto. Vorresti supportare Autarkeia e valorizzare le decine di ore settimanali che stanno dietro a ogni numero? Puoi regalarmi un libro! Sceglilo dall’Autarkeia Wishlist. In alternativa, puoi comprare qualcosa da questo link generico, o acquistare direttamente dai link della newsletter i libri consigliati; io riceverò qualche spicciolo sul prezzo di copertina.
Questa raccolta di Einaudi comprende 5 racconti di Sartre, uno dei più grandi filosofi e scrittori del ‘900. Ha anche vinto il Nobel per la letteratura nel 1964, ma lo ha rifiutato perchè “solo dopo la morte è possibile esprimere un giudizio sull'effettivo valore di un letterato” (c’è dello stile, bisogna ammetterlo). Questi racconti sono brevi ma davvero intensi: parlano di follia, perversione, erotismo, malattia e, ovviamente, morte. Per me vale la pena comprarlo anche solo per leggere Erostrato: un racconto incredibile.
Il capitalismo della sorveglianza, di Shoshana Zuboff
Questo è un libro controverso, ha fatto molto discutere. Io l’ho apprezzato, ma mi sono trovato in disaccordo su molte cose, a partire dal titolo: la sorveglianza evoca in noi scene orwelliane che non hanno molto a che fare con la realtà contemporanea. Le aziende che sfruttano i Big Data sono, appunto, private, non pubbliche: il loro obiettivo è il profitto, non mantenere autoritariamente il potere.
Nonostante questo, è un libro che deve essere letto. Zuboff racconta la nascita delle grandi aziende di internet, descrive minuziosamente il business model basato sulla raccolta dati, che cosa sia la pubblicità mirata e come funzionino gli algoritmi. Anche se lo ritengo talvolta eccessivamente apocalittico, è il libro più completo e aggiornato su questi temi.
E anche questa settimana abbiamo finito. Grazie di leggermi sempre! Se vuoi aiutarmi inoltra questa mail a una persona che pensi possa apprezzarla.
Ah, quasi dimenticavo: prossima settimana avremo un ospite, ve lo rivelerò su Instagram. Quindi, se sei curioso, seguimi lì!
Noi ci risentiamo domenica prossima: buona settimana e buona fortuna,
Daniele
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