Metafisica delle droghe
I problemi dell'edonismo nichilista: sul non credere in nulla tranne che nel qui e nell'ora
Autarkeia è una newsletter settimanale di riflessioni e consigli che esce ogni domenica mattina, per iscriverti clicca qui. Puoi leggere qui i numeri precedenti e qui il manifesto del progetto, mentre questi sono i miei profili Instagram, Linkedin e Twitter.
Eccoci qui. Lo scorso numero ha ricevuto un’accoglienza più fredda del solito, mi è dispiaciuto, ci avevo lavorato tanto. Se ancora non l’hai letto, dagli una possibilità!
Oggi parliamo di memoria, assoluto presente e alterazioni fisiche e mentali. Cominciamo.
“Non ho né soldi, né risorse, né speranza. Sono l’uomo più felice del mondo. Un anno, sei mesi fa, pensavo d’essere un artista. Ora non lo penso più, lo sono. Tutto quel che era letteratura mi è cascato di dosso. Non ci sono più libri da scrivere, grazie a Dio”.
Henry Miller
Nella nostra lingua la parola droga ha tre significati principali. Essa può indicare le spezie in generale (nelle nostre città ci si può ancora imbattere nelle “drogherie”) e i farmaci in senso generico. Ma l’accezione più diffusa del termine è la terza, quella del linguaggio comune, che la Treccani definisce così:
qualsiasi sostanza capace di modificare temporaneamente lo stato di coscienza o comunque lo stato psichico dell’individuo.
Come spesso accade per le definizioni in generale, anche questa può essere facilmente criticata. L’ampia generalità con cui viene indicato che cosa sia una droga e che cosa no permette di far rientrare nella definizione un numero altissimo di sostanze, molte di più di quelle che nel senso comune riteniamo essere droghe vere e proprie. Come ormai è risaputo, l’inserire o meno una sostanza dentro all’insieme delle droghe, inteso in senso dispregiativo, è determinato quasi esclusivamente da pregiudizi culturali, morali e giuridici. Ed è per questo che questo dibattito è controverso e ancora in corso. Esso assume connotati differenti a seconda degli usi e costumi della cultura in cui il dibattito avviene.
Tuttavia, non è in questa controversia che ci inseriremo oggi. Ciò che tenterò di fare è di dare una definizione differente di droga, intendendola in un senso filosofico, metafisico. Non per condannarne l’uso o mostrare come tutti, in realtà, siamo “drogati” (lo sentite lo stigma sociale che ancora pesa su questa parola?), ma per parlare di qualcos’altro, di quello che io chiamo l’edonismo nichilista.
Il nostro ragionamento inizia con una recensione, scritta da Eric Blair, scrittore famoso al grande pubblico sotto lo pseudonimo di George Orwell. Nel 1940 scrisse un saggio intitolato “Nel ventre della Balena”, dedicato a un romanzo che mi è molto caro, “Tropico del Cancro” di Henry Miller. In poche decine di pagine Orwell riesce a catturare quella che secondo me è una tendenza esistenziale che si è diffusa sempre di più tra noi, e di cui Henry Miller è il primo cantore, il primo araldo.
Il romanzo di Miller è ambientato nella Parigi nascosta, decadente e povera degli anni ‘20. Orwell ci dice che in quegli anni nella capitale francese gozzovigliavano più di trentamila pittori o sedicenti tali. La città pullulava di artisti, geni incompresi e nostalgici poeti che tentavano in ogni modo di emergere, vivendo nel frattempo nel degrado. E Miller è questo che racconta, ma lo fa in una maniera unica. Scrive Orwell:
Miller ha abbandonato l’antico e guardingo linguaggio del romanzo tradizionale per trasportare all’aria aperta la realpolitik dell’interiorità. Non si tratta tanto di un problema d’esplorazione dei meccanismi mentali quanto d’una aperta confessione della vita di ogni giorno. La spietata ruvidezza con cui parlano i personaggi di Tropico del Cancro è rarissima nella prosa narrativa, ma estremamente comune nella vita reale.
Questa realpolitik dell’interiorità rivela il peculiare atteggiamento di Miller nei confronti della realtà. In “Tropico del Cancro”, il giovane Henry, mentre scrive il suo futuro romanzo, vive tra prostitute e alcol, tra delinquenti e finti intellettuali. Ciononostante, come nota Orwell, il racconto al lettore appare come un libro felice.
Nonostante abbia anni di fame alle spalle, di vagabondaggio, di sozzura, di sconfitte, di notti all’addiaccio, di lotte coi funzionari di frontiera, di interminabili sforzi per avere qualche spicciolo, Miller si accorge di godere la vita. Lungi dal protestare, egli accetta.
Accetta che cosa? Ed è qui che si apre il nostro discorso. Vi è nel romanzo di Miller una celebrazione del nulla, dell’insensatezza del futuro e della contingenza di tutte le cose. Miller si crogiola nei piaceri della carnalità, nella vita nel senso più concreto, nell’alterazione di un sé che ormai è sotterrato sotto all’apoliticità, all’amoralità e all’irresponsabilità.
Ma facciamo un passo indietro: Perché stiamo parlando di Henry Miller? Che cosa intendo con edonismo nichilista? E che cosa centrano le droghe?
L’edonismo è una concezione morale molto antica che identifica il bene con il piacere attuale, del presente. Fu teorizzato tra il V e il IV secolo a.C. da Aristippo di Cirene, il quale sosteneva la necessità di ridurre il bene in generale al piacere particolare goduto momento per momento. Aristippo credeva che la speranza di un bene futuro fosse sempre unita all’inquietudine causata dall’incertezza. Di conseguenza non restava e non resta altro che godere del momentaneo piacere del qui e dell’ora.
Dall’altro lato abbiamo il nichilismo, concetto molto più recente (apparso per la prima volta nel XVIII secolo) e troppo spesso citato a sproposito. Il termine deriva dal latino nihil (“nulla”) e viene usato in filosofia per indicare atteggiamenti o dottrine che negano radicalmente determinati sistemi di valori. Il senso con cui noi useremo il termine è quello che si è affermato soprattutto in seguito all’opera di Friedrich Nietzsche, colui che per primo annunciò “la morte di Dio”. Con nichilismo, intenderemo la decadenza dell’uomo occidentale cristiano e del suo sistema di valori. Indicheremo il sentimento di perdita di senso dovuto al declino della fede religiosa e alla sempre maggior diffusione di forme di ateismo radicale, soprattutto tra i più giovani. Essere nichilisti nel senso che intenderemo da qui in avanti significa avere perso Dio nella convinzione che esso non sia mai esistito. Questo significa credere nella non necessità delle cose, nell’assenza della provvidenza e nella solitudine profonda dell’umanità gettata in un’esistenza che non ha richiesto.
Ed ecco che, unendo questi due concetti, ricompare Henry Miller. “Tropico del cancro” è il trionfo dell’edonismo nichilista: si vive giorno per giorno, di piacere in piacere, poiché ci si è arresi davanti all’insensatezza del mondo, poiché non si crede in niente tranne che nel presente: di tutto il resto non abbiamo certezze, l’unica che abbiamo è quella di morire. Scrive Miller
Proprio perché scarse sono le possibilità, proprio perché c’è così poca speranza, la vita è dolce, qua. Giorno per giorno. Niente ieri, niente domani. Il barometro non cambia mai, la bandiera è sempre a mezz’asta.
Ed emerge così un altro concetto fondamentale: l’assoluto presente. Assoluto (“ab-solutum”) significa letteralmente sciolto, liberato da ogni vincolo, indipendente da passato e futuro. L’edonista nichilista vive solo nell’oggi. Non gli interessa costruire, non gli interessa migliorare e migliorarsi. “Niente ieri, niente domani”, appunto. A riguardo scrive Orwell in maniera straordinaria:
Miller suona la cetra mentre Roma brucia, e diversamente dalla maggioranza delle persone che fanno la stessa cosa, suona con la faccia rivolta verso le fiamme.
La faccia è rivolta verso le fiamme perché è consapevole che il mondo è quello che è, pieno di male privo di senso, di vite che scorrono senza direzione, di dolori che non emergeranno mai. E davanti a tutto questo Miller suona la cetra. Non è fermo, non contempla malinconico i fuochi che ardono le città. Canta, balla, beve, si altera. Ed ecco che riemergono le droghe, ciò di cui abbiamo parlato all’inizio.
Il senso filosofico con cui voglio definire le droghe è costitutivamente collegato alla concezione edonistico-nichilista della realtà. Intendo con droghe tutti quegli strumenti che permettono di lasciarsi trascinare dalla corrente, e che, alterando il soggetto, aumentano il piacere del presente, permettendo di non pensare a passato e futuro. L’alterazione è condizione necessaria al vivere esclusivamente nel qui e nell’ora: non è pensabile vivere nel presente senza le droghe, per così dire, filosofiche. Per spiegare meglio questa idea, leggiamo cosa scriveva, all’opposto, Pascal
Ciascuno esamini i propri pensieri: li troverà sempre occupati del passato e dell’avvenire. Non pensiamo quasi mai al presente; o, se ci pensiamo, è solo per prenderne lume al fine di predisporre l’avvenire. Il presente non è mai il nostro fine.
L’edonista nichilista capovolge Pascal: lui vive nel presente, per il presente; il presente è il suo fine. L’accettazione consapevole dell’insensatezza di tutte le cose è antropologicamente collegata a una forma di angoscia. Ma Miller (che prendiamo qui come esempio dell’uomo edonista-nichilista in generale) davanti a quella angoscia danza e si ubriaca.
Il lato umano colto da Pascal non è però cancellato, è semplicemente sepolto sotto uno strato di alterazione, accettazione e apatia. Se per natura tendiamo a predisporre costantemente l’avvenire, la consapevolezza che il futuro non segue alcuna via predefinita e nessun disegno divino ci porta a pensare l’avvenire come al di fuori del nostro controllo, come un delirio insensato. E allora anche il nostro presente non sarà che un delirio, da cui ci lasceremo trascinare passivi, tra sesso, cibo, serie tv, canne, alcol e serate.
Tutto questo viene sintetizzato da Miller in poche parole:
Sono in un mondo senza speranza, ma non disperato. Sono in un vicolo cieco, ma è bello e comodo.
Ho la sensazione che soprattutto nella mia generazione e in quelle ad essa vicine questa concezione del mondo sia molto diffusa. Io in prima persona ho vissuto per molto tempo così, con questa idea della vita. Tuttavia, ritengo che questo modo di guardare alle cose impoverisca l’esistenza, non renda realmente felici e sia solo una pars destruens priva di pars costruens (cioè che distrugga senza costruire nulla). Proviamo ad offrire allora una visione alternativa delle cose, criticando Miller e l’edonismo nichilista.
La prima cosa che possiamo constatare è che vivere nell’assoluto presente sia poco di più che una truffa. Il tempo scappa come vento tra le mani e si diventa vecchi senza nulla di solido. Rimangono i ricordi di risate e di avventure, le cronache di piacevoli follie: ma la memoria in questo è sopravvalutata. Rivivere nel pensiero ciò che si è fatto non equivale a farlo. E quindi non resta che cercare sempre qualcosa di nuovo, ricercare costantemente un nuovo presente in cui vivere la propria irresponsabilità: si finisce così per essere criceti in una ruota fatta di momenti che sfuggono fino all’ultimo giorno in cui si sta al mondo. Viene da chiedersi: può essere felicità un sentimento così flebile ed effimero?
Il fatto è che l’accettazione dell’insensatezza delle cose non deve essere un motivo sufficiente per disinteressarsi del mondo e rinchiudersi in un’alterazione perpetua. Sembra ragionevole, se non si crede in nulla e non si hanno obiettivi, credere che la cosa migliore sia sopravvivere alla giornata, come Miller. Tuttavia, guardare Roma che brucia cantando è la strada facile. É facile rinchiudersi nel qui e nell’ora, lasciandosi trascinare dai piaceri e cantando la nullità di tutte le cose e la distruzione dei passati sistemi valoriali.
Ma la strada che va intrapresa è un’altra: la vita è di più di così. La strada difficile è provare a spegnerlo, l’incendio che brucia Roma. Non si può rimanere nell’edonismo nichilista: bisogna provare fare un passo ulteriore, si deve tentare di cambiare Roma dall’interno. Vivere significa costruire, non limitarsi a danzare nelle macerie. Un mondo pieno di edonisti nichilisti sarebbe un mondo di cicale in cui tutto crollerebbe dopo pochi giorni.
Si può suonare la cetra davanti a Roma in fiamme solo perché qualcuno Roma l’ha costruita. E se abbiamo smesso di credere nelle cose in cui credevano i nostri antenati, questo non ci giustifica a cantare il nulla. Ci sono tante cose per cui vale la pena lottare, basta entrare in città ed essere disposti a mettersi in gioco. Vivremo il tempo, senza subirlo. Godremo ancora delle cose, ma in un modo più profondo, più sano. Basta mettersi di traverso di fronte ai giorni che ci scorrono di fronte, prendere in mano le cose, sporcarsi le mani. E allora costruiremo una nuova Roma sulle macerie di quella precedente: e una volta arrivati in fondo ai nostri percorsi ci renderemo conto che abbiamo in mano molto di più che vento e ricordi.
Riflessione conclusa. Se ti ha colpito, ti consiglio di recuperare anche “Mi distraggo, quindi non sono”, un discorso collegato a quello di oggi. Come sempre, se l’hai apprezzata, condividila! Se vuoi taggarmi su Instagram, questo è il mio profilo.
Ora i consigli.
In queste settimane si è discusso molto del tremendo video di Beppe Grillo che difende suo figlio dalle accuse di stupro di gruppo. Ho già espresso la mia opinione su Instagram. A riguardo ho trovato molto equilibrato e condivisibile questo video.
Vincenzo Fano insegna filosofia della scienza a Urbino. Ho trovato molto chiara e stimolante la lezione divulgativa che ha tenuto all’Università di Siena pochi giorni fa: il professore tratta di che cosa sia e di che cosa non sia la scienza, e quale sia il percorso intellettuale che ci ha condotti alla concezione che abbiamo oggi di una teoria scientifica.
Qualche settimana fa vi avevo consigliato di sfogliare le foto incredibili candidate al premio di fotogiornalismo più importante al mondo, il World Press Photo. Settimana scorsa sono usciti i vincitori! Vi metto la foto che ha vinto il premio più importante, scattata da Mads Nissen.
Se un tempo era scontato considerare gli zoo come luoghi di svago, al pari di cinema e musei, la sensibilizzazione animalista oggi ci ha portati a percepirli diversamente. Questo ha costretto gli zoo a effettuare una sorta di re-branding, mostrandosi come centri di educazione all’ecologia, alla sensibilizzazione e alla ricerca. Ma è davvero così? A cosa servono gli zoo oggi?
“Tutta la storia della civiltà umana si è sviluppata sotto l’occhio attento dei corvi. Dovunque i nostri antenati sono andati, dall’Africa verso l’area continentale europea o varcando lo stretto di Bering per scendere in quelle terre poi chiamate America, i corvi erano già lì”. La sapienza del corvo, su DoppioZero.
E ora i libri, che sono, per così dire, interni alla riflessione di oggi.
Ti è piaciuto questo numero? Dietro ci sono io, Daniele. Studio filosofia a Bologna e gestisco interamente da solo il progetto. Autarkeia vive dell’apprezzamento della community. Vorresti supportare il progetto e valorizzare le decine di ore settimanali che stanno dietro a ogni numero? Ci sono due modi per farlo:
Puoi regalarmi un libro che userò per produrre nuovi contenuti: sceglilo cliccando qui sotto!
Tropico del Cancro, di Henry Miller
Un romanzo epocale, crudo, sporco. A metà tra l’autobiografia e la narrativa di finzione, Tropico del Cancro è uno dei racconti più potenti del ‘900. Insieme a “Altri Libertini”, è il libro che ha ispirato, oltre al numero di oggi, “Ma prima del ma ci va sempre la virgola?”, uno dei numeri di Autarkeia a cui tengo di più.
Nel ventre della balena e altri saggi, di George Orwell
Bompiani ha raccolto alcuni dei saggi più importanti di Orwell in questa bell’edizione. Sebbene meno celebre dell’Orwell romanziere di “1984” e de “La fattoria degli animali”, l’Orwell saggista vale la pena di esser letto. Oltre a quello dedicato a Miller, questa raccolta contiene altri saggi straordinari come “La politica e la lingua inglese”, “Elogio del rospo”, e “L’elefante fucilato”.
E abbiamo finito. Studio e lavoro tanto per produrre contenuti come quello di oggi. Se apprezzi il mio lavoro, sai già come puoi fare per valorizzarlo. Vi ricordo che qui potete leggere tutti i numeri di Autarkeia, che sono indipendenti e quindi possono essere letti anche senza seguire l’ordine con cui sono usciti.
Grazie di leggermi sempre e buona settimana,
Daniele
Autarkeia è una newsletter settimanale di riflessioni e consigli che esce ogni domenica mattina, per iscriverti clicca qui. Il progetto è totalmente gratuito, quindi vive del supporto della community: aiutami a fare conoscere Autarkeia. Se apprezzi questo appuntamento settimanale, condividilo, consiglialo, parlane con amici e parenti.
Hai bisogno di contattarmi? Rispondi direttamente a questa mail.
Pezzo molto interessante: sento anche io che la nostra generazione sta imparando a "vivere" così, perché è sempre più difficile concepire un futuro, una certezza, un percorso. Da un lato mi chiedo anche se non sia forse necessario diventare sempre più intoccabili dall'inconsistenza della realtà per sopravvivere nel nuovo mondo (digitale, internazionale, solitario, individualista, dipendente dagli stimoli) che si sta creando. Forse siamo intrappolati nel presente per poter sopravvivere a questa velocità?
Pezzo molto interessante: sento anche io che la nostra generazione sta imparando a "vivere" così, perché è sempre più difficile concepire un futuro, una certezza, un percorso. Da un lato mi chiedo anche se non sia forse necessario diventare sempre più intoccabili dall'inconsistenza della realtà per sopravvivere nel nuovo mondo (digitale, internazionale, solitario, individualista, dipendente dagli stimoli) che si sta creando. Forse siamo intrappolati nel presente per poter sopravvivere a questa velocità?